Recensione: A Farewell To Kings

Di Diego Cafolla - 17 Giugno 2003 - 0:00
A Farewell To Kings
Band: Rush
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1977
Nazione:
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98

Era il 1976, e I RUSH avevano pubblicato il capolavoro 2112, probabilmente uno degli album manifesto del movimento prog rock! Il trio canadese si imbarcò per promuovere l’album in un monumentale Tour (da cui verrà poi estratto il bellissimo live “All the world’s a Stage”) che toccò anche l’Europa ed in particolar modo l’Inghilterra, dove la band ottenne un’accoglienza sbalorditiva da parte del pubblico e severe critiche da buona parte della stampa Anglosassone (assurde accuse di testi a sfondo satanico e/o filo-nazista cercarono di minare l’immagine del trio Canadese) che evidentemente non vedeva di buon occhio il successo di una band non inglese in patria . Proprio durante il soggiorno inglese (che venne prolungato per permettere alla band di registrare il disco) venne composto e registrato AFTK, ennesimo capolavoro della band. Pubblicato nel 1977 l’album si apre alla grande, con un bellissimo arpeggio di chitarra classica che fa da preludio alla bellissima title track che presenta delle sonorità vicine agli album precedenti del trio (soprattutto 2112), con una notevole parte centrale dove il basso di Geddy Lee esegue fraseggi intricati e coinvolgenti che fanno da tappeto al lavoro di chitarra di un ispiratissimo Lifeson. La seconda traccia Xanadu è un vero e proprio capolavoro di rock progressive, 10 minuti in cui la band riesce a dar sfoggio di una tecnica superlativa (la song verrà riproposta perfettamente dal vivo nonostante la sua evidente complessità) ma mai a discapito della creatività o dell’emozionalità, in una perfetta fusione di atmosfere oniriche e “rilassate” (i primi due minuti della canzone sono di una bellezza disarmante in tal senso) alternate a momenti decisamente hard e graffianti (il ritornello è costruito su un riff decisamente aggressivo e dinamico ).Altra traccia , altro gioiello! Closer to the Heart, è probabilmente uno dei pezzi di maggior successo dei RUSH, un pezzo semplice per i canoni della band ma di una bellezza disarmante. Diventerà uno dei punti fermi dei live set da qui a seguire, a riprova che la band sa comporre brani stupendi e memorabili anche senza dover mostrare a tutti i costi la tecnica strabiliante di cui è in possesso. Cinderella Man è un altro bellissimo brano, di cui trovo particolarmente interessanti le liriche scritte da un ispiratissimo Peart che tratta in questa song le difficoltà dell’adolescenza.
Madrigal è, per chi scrive, il brano peggiore del lotto (o forse sarebbe meglio dire il meno bello), probabilmente penalizzato dal fatto di essere incluso in un disco di song stupende che ne oscurano il contenuto. Discorso a parte merita “Cygnus X-1 Book One – The Voyage”, song che troverà seguito nel successivo (ed ennesimo capolavoro) Hemispheres. Dopo una lunga intro (anche in questa song si raggiungono i 10 minuti) dai suoni spaziali è il basso di Lee ad aprire le danze per una song incredibile, dal mood oscuro che si sposa perfettamente con le liriche (Cygnus X-1 è un buco nero) . La song è forse il pezzo più duro mai composto dai Rush e, nonostante il pezzo non sia di facile assimilazione (sia per le melodie che per la complessità strutturale) riesce ad affascinare l’ascoltatore grazie ad una valanga di riff azzeccatissimi.
In definitiva AFTK è un album spettacolare, degno erede del seminale 2112 e probabilmente uno dei picchi di massima creatività della band.
Bisognerà aspettare un altro anno per ascoltare un altro capolavoro targato Rush, ma questa è un’altra storia!

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