Recensione: A Perfect Absolution

Di Ottavio Pariante - 23 Luglio 2013 - 0:05
A Perfect Absolution
Band: Gorod
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2012
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
85

 

Di solito, quando si scrive una recensione, ma non solo, anche quando si ha che fare con un racconto, si comincia sempre dall’inizio. Ma, nel mio caso, il canonico «“c’era una volta”» è stravolto da una miriade di emozioni, che devastano il razionale corso degli eventi.

Il gruppo oggetto della recensione di oggi si chiama Gorod. È francese, precisamente di Bordeaux, ed è nato artisticamente nel 1997 sotto altro moniker, Gorgasm, sostituito in fretta con l’attuale per evitare confusione con una brutal death metal band americana. Sono autori di quattro album e “A Perfect Absolution” è l’ultimo arrivato, inciso su Listeneable Records nel marzo 2012.

Dal punto di vista della proposta dei Nostri, abbiamo a che fare con un technical death metal semplicemente prodigioso. Il loro sound, e lo dico con molta sincerità, mi ha creato non pochi imbarazzi, sia dal punto di vista personale sia da quello professionale, perché la grandezza del songwriting di questa band transalpina consiste nell’incorporare nel proprio interno una quantità inquietante di atmosfere e umori differenti; tenendoli sempre in equilibrio tra loro, senza perdere mai il filo logico, creando in maniera assolutamente naturale un sound dall’impatto emotivo spaventoso. Il death di base è impreziosito da divagazioni jazz e fusion, incursioni melodiche mozzafiato, cavalcate progressive ai limiti dell’umano. Il tutto condito da una produzione ai limiti della perfezione e da una potenza e perizia dei particolari senza uguali.

“A Perfect Absolution” è un disco che seduce e stordisce sin dal primo istante. Violento, intimo, istrionico, sfuggente e struggente. Questi sono alcuni degli aggettivi che in parte cercano di descrivere le otto tracce che lo compongono. Nessun calo, nessun sbadiglio, un pugno in faccia dopo l’altro, un assalto sonoro che terrà incollato alla sedia l’ascoltatore. Traccia dopo traccia.

Entrando nello specifico dei brani, il disco parte subito forte con “Birds O Sulphur”, a mio avviso perfetta per il ruolo di opener. Abbiamo a che fare con un pezzo sornione che parte svogliato, avvolto in un brevissimo intro atmosferico, con un crescendo maligno e inquietante. La quiete prima della tempesta è squarciata in due dalle potentissime growling vocals di apertura del singer transalpino Julien Deyrez. Alla violentissima sezione ritmica il compito di seppellire in un magma di riff l’attonito ascoltatore, che sarà scaraventato dalla stanza verso dimensioni ancora inesplorate, disegnate dalla classe stratosferica dei cinque musicisti francesi. Fantasia al potere, quindi. Un mosaico complicatissimo, dove gli innumerevoli tasselli sono in perfetto equilibrio tra di loro, lavorando all’unisono verso l’unico obiettivo logico prefissato: andare dritti al cuore dell’ascoltatore. Dopo aver ascoltato l’ottimo pezzo d’apertura, spostiamo le nostre attenzioni verso la seconda traccia, “Sailing Into The Earth”, che mantiene intatte le linee guida, risultando però a mio avviso ancora più devastante e ispirata della precedente. Rispetto all’opener, il pezzo prende subito velocità. Un inizio all’arma bianca reso ancora più distruttivo dai blast-beats di Samuel Santiago e dagli stop’n’go che la coppia d’ascia Pascual / Alberny sfodera con una facilità disarmante. Ma “Sailing In To The Earth”, come tutti i brani che tra poco andremo a esaminare, non si avvale solo di soluzioni comodamente distruttive per scardinare le preferenze dell’ascoltatore e degli addetti ai lavori. Si esalta su di un’intelaiatura tremendamente fascinosa, che la rende appetibile e senza discussioni di facile presa. Due brani per capire di cosa è capace la band di Bordeaux, ma vi assicuro che le cose migliori devono ancora essere elaborate.

Senza fare troppi gire di parole vi voglio scrivere di un’altra accoppiata semplicemente strepitosa, composta da: “The Axe Of God” e “5000 At The Funeral”. La prima, che rappresenta anche la metà esatta del disco, si presenta subito in maniera feroce, brutale, dove la melodia (se si esclude l’intermezzo finale) e le varie influenze esterne al genere vengono quasi totalmente azzerate. Solo la tecnica sopraffina sopravvissuta alla valanga distruttiva di riff e growling vocals è al servizio del groove più convulso e deviato; un qualcosa difficile da spiegare, ma solo da ascoltare. La seconda, “5000 At The Funeral”, rappresenta la follia, il genio compositivo che è incarnato in seno alla band. Un pezzo assurdo, dove il piano e la chitarra disegnano atmosfere quasi hollywoodiane, tratte da quei classici degli anni ‘40 / ‘50, fedelmente in bianco e nero. Un crescendo obbligato, misterioso e inquietante, che mette a nudo la vera natura del brano, il quale, a breve, si esalterà con tutta la sua fierezza. Il lato malinconico oscuro e malinconico, evidenziato con incredibile bravura dalla band, è spazzato via dalla solita mazzata nei denti, sostenuta dai canonici ingredienti del combo transalpino, che li miscela a proprio piacimento. Un pezzo fuori dall’ordinario, decisamente ostico e difficile da inquadrare, che rappresenta i Gorod al 100%, a questo punto definibile come una band dal livello tecnico e compositivo quasi inarrivabile.

Mancano altri tre pezzi da analizzare per arrivare alla sospirata conclusione. Nella fattispecie: “Carved In The Wind”, “Varangian Paradise” e la conclusiva “Tribute Of Blood”. Il primo dei tre, dopo un breve aperitivo dal forte retrogusto progressive, si distende sui classici connotati fino a ora proposti dalla band. Il giochino si ripete, però con una sensibile predisposizione più melodica rispetto ai pezzi precedenti. Ma la violenza e l’impatto ritmico e sonoro, a scanso di equivoci, svolgono sempre un ruolo fondamentale negli equilibri artistici del songwriting dei Gorod, rendendo questo pezzo ancor più appetibile alle masse. “Varangian Paradise”, insieme alla terza traccia “Elements And Spirits”, di cui non ho parlato prima, mette in risalto gli aspetti più progressive e cervellotici della produzione musicale del combo transalpino. Episodi di rara bravura tecnica, dove gli equilibri tra le varie parti non sono sempre rispettati, essendo un po’ troppo ostici da essere assimilati ai primi ascolti. Lontani anni luce dall’esser catalogati alla voce ‘filler’, danno il loro contributo alla causa ma di sicuro non saranno ricordati nei tempi. Discorso ben diverso per la conclusiva “Tribute Of Blood”, di sicuro affidamento con le sue scorribande violente ed efficaci. Un pezzo genuino e di sicuro mestiere che chiude in maniera semplicemente grandiosa questo disco.

“A Perfect Absolution” è un album incredibile, dalle mille sfaccettature, da gustare ripetutamente. Un album geniale che mette evidenzia i progressi di una band dalla tecnica individuale impressionante. Da promuovere a occhi chiusi, sognando un seguito ancor più coinvolgente e distruttivo.

Ottavio “octicus” Pariante
 

Discutine sul Forum nel topic relativo!

Pagina facebook

Ultimi album di Gorod

Band: Gorod
Genere: Death 
Anno: 2012
85