Recensione: A Place Where There’s No More Pain

Di Stefano Burini - 1 Giugno 2017 - 9:00
A Place Where There’s No More Pain
Etichetta:
Genere: Alternative Metal 
Anno: 2017
Nazione:
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80

Se vi ricordate i Life Of Agony di “River Runs Red” o del successivo “Ugly”, probabilmente lo schock sará piuttosto consistente nell’ascoltare il nuovo “A Place Where There’s No More Pain” pubblicato a distanza di ben dodici dall’uscita di “Broken Valley”, fino a poche settimane fa ultimo parto della band newyorkese,

Rispetto all’alternative rock/metal dei primi album la band statunitense propone infatti una personale rivisitazione del modern hard rock a tinte groovy che va per la maggiore al di la dell’oceano da piu di una decina d’anni, sfruttando le pesanti distorsioni di chitarra, le ritmiche robuste e le atmosfere plumbee per dare nuova linfa alle strazianti liriche di Keith/Mina Caputo, nel frattempo sottopostosi ad un intervento per il cambio di sesso.

Le canzoni contenute in “A Place Where There’s No More Pain”, quasi tutte eccellenti, non si perdono i sterili virtuosismi ma vanno dritte al punto facendo leva su giri di chitarra semplici, quadrati ed efficaci, guitar solo di matrice hard ‘n’ heavy (ad opera di un ispiratissimo Joey Z)  e su un cantato espressivo e sofferente che porta Mina su tonalitá non lontane da quelle dei degli Alice In Chains.

Spiccano (leggermente) dal mucchio la cadenzatissima “Dead Speak Kindly”e le dolorose “Place Where There’s No Pain”, “Right This Wrong” e”Meet My Maker”, nelle quali le tematiche ricorrenti dell’errore e del dolore causato dalla sensazione di inadeguatezza trovano pieno compimento. D’altro canto non davvero possibile declassare in alcun modo brani come “Bag Of Bones”, la cupa “A New Low”, la rockeggiante “World Gone Mad” o la più novantiana “Song For The Abused”, fino alla conclusiva, minimale “Little Spots Of You”: oscure eppur fascinose tessere in grado di costituire un mosaico di elevato valore artistico e contenutistico.

I Life Of Agony, come il loro leader, hanno dunque cambiato pelle senza tuttavia perdere un oncia di smalto. Il consiglio è pertanto di approcciarsi a “A Place Where There’s No Pain” senza pregiudizi e di lasciar fluire le splendide canzoni che lo compongono: di certo non rimarrete delusi.

Stefano Burini

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