Recensione: A Skeletal Domain

Di Vittorio Cafiero - 23 Settembre 2014 - 22:04
A Skeletal Domain
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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70

Può un gruppo che parla di cadaveri, torture e sventramenti assortiti definirsi “rassicurante”? Sì, se si tratta dei Cannibal Corpse. Da 25 anni sulla scena, la band floridiana nel corso del tempo ha mostrato un’impressionante costanza in termini di puntualità e qualità, tanto da essere divenuta una tranquillizzante certezza in un contesto musicale dove cambiamenti ed influenze di vario genere (mode e business prima di tutto) possono davvero minare le fondamenta di un genere in verità abbastanza intransigente come il death metal.  
Nell’Anno Domini 2014, la band di George ‘CorpseGrinder’ Fisher si ripresenta al suo pubblico con A Skeletal Domain, tredicesimo album di una serie iniziata nel 1990 con Eaten Back To Life e da allora priva di pause o divagazioni. La prima domanda che forse nascerà spontanea a chi i Cannibal Corpse li conosce potrebbe essere: “cosa contraddistingue questa uscita dalle precedenti”? E prima di addentrarsi subito nell’analisi dettagliata dei pezzi, proviamo prima a rispondere a questo interrogativo più generale. Testi e tematiche non sono cambiati di una virgola, ma del resto né ce lo aspettavamo, né lo desideravamo. Durata dei pezzi e durata totale sono pressoché le solite (per ascoltare il nuovo lavoro impiegherete “ben” un secondo tondo in più del precedente Torture del 2012); è cambiato il produttore (e gli studi di registrazione): dopo anni di fidata collaborazione con il noto Erik Rutan, si è scelto di affidare la consolle a Mark Lewis (DevilDriver, The Black Dahlia Murder e Carnifex, tra gli altri); ma, a dire la verità, chi scrive non ha notato grossi sconvolgimenti in ambito di suono o atmosfere. E a questo punto, arriviamo al centro della questione: è cambiato il songwriting? E’ più, meno o diversamente ispirato rispetto agli ultimi lavori targati Cannibal Corpse? Se analizziamo gli ultimi episodi della discografia della band, rileviamo un sostanziale capolavoro brutal dei giorni nostri, quel Kill che per tutta la sua durata non lasciava un attimo di tregua, seguito da due buoni lavori di continuazione come Evisceration Plague e Torture, uscite positive seppur meno memorabili. Con A Skeletal Domain, ci sembra che la composizione non abbia conosciuto nessuna particolare evoluzione: questo non sarebbe di per sè un problema, tuttavia qualcuno – e non necessariamente il sottoscritto – potrebbe iniziare ad essere poco incline all’esaltazione per un insieme di brani che potrebbe tranquillamente essere già stato proposto per lo meno negli ultimi tre lavori in quanto a stile. Fortunatamente, doveroso dirlo, non mancano le caratteristiche che hanno contribuito a fare grandi i Cannibal Corpse nel corso degli anni: se infatti un pezzo come l’opener High Velocity Impact Spatter, oltre che di già sentito, sa di una certa inconcludenza, il trittico successivo di pezzi (tra i quali compare la title track) coinvolge e stordisce senza compromesso alcuno, pur senza inventare nulla di nuovo. Dopo una Headlong Into Carnage di pura transizione, è il turno di The Murderer’s Pact, già da qualche mese proposta in anteprima e pezzo più lungo ed elaborato dell’intero lavoro, dove ancora una volta sembra mancare il quid vincente. Belle le atmosfere più solenni e sulfuree di Funeral Cremation, che invece mostra maggiore personalità. Altrettanto ben costruita sembra Icepick Lobotomy, caratterizzata da interessanti variazioni ritmiche e da fraseggi che le chitarre sembrano scambiarsi vicendevolmente.
Cosa rimane del poker finale? Nessuna grossa novità rispetto al leitmotiv del disco: un po’ di mestiere che si alterna a trovate di alta scuola: piacciono soprattutto la decisa Bloodstained Cement e la carcassiana Asphyxiate To Resuscitate, spietata e tagliente soprattutto nel riffing.  

La violenza, la potenza e l’abilità di suonare death metal non sono calate di una virgola in questi anni. I Cannibal Corpse sono assolutamente quelli di sempre: un disco in più che porterà i Nostri in giro per il mondo per tanti mesi ancora e che gli permetterà nuovamente di confermarsi come i maestri incontrastati del brutal death metal più classico. Forse, per una volta, l’ispirazione è venuta meno in qualche episodio. Nulla di irreparabile, chiaramente; ma se solo si riuscisse ad uscire dalla routine disco-tour-disco-tour e, soprattutto, ci si potesse permettere il lusso di aspettare qualche mese in più tra un uscita e l’altra, forse certi passaggi verrebbero ulteriormente ottimizzati, permettendo ai Cannibal Corpse la sublimazione definitiva.  

Vittorio “Vittorio” Cafiero

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