Recensione: A Throne Of Ash

Di Alessandro Marrone - 14 Ottobre 2019 - 7:00
A Throne Of Ash
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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74

Quando si parla di Season Of Mist, drizzo subito le antenne, sapendo che raramente sbagliano un colpo, a prescindere che si tratti del nuovo capitolo di una band con già qualcosa all’attivo, oppure di un vero e proprio esordio discografico, situazione in cui l’attesa si fa ancora più gustosa. Nel caso dei This Gift Is A Curse le aspettative sono alte, perché il quintetto svedese taglia il traguardo del terzo album – il secondo per l’etichetta menzionata poche righe sopra – promettendo di portare avanti un sound alquanto peculiare e capace di mescolare black metal e sludge, ipoteticamente ampliando la propria offerta a un pubblico ancora più vasto di quanto farebbero i due rispettivi generi, se presi singolarmente. Il fatto che spesso sia meglio “lasciar dormire il can che dorme” vuole però che certi matrimoni non s’abbiano da fare e il rischio di ritrovarci con in mano un album stilisticamente contaminato dalla controparte debole c’è tutto. In questo caso aggiunge quell’impazienza di dare un volto a un album che in copertina mette una cupa figura completamente avvolta in un mantello nero e contornata da un forte simbolismo luciferino.

 

Gli svedesi si presentano con la breve e introduttiva Haema, la quale riveste il ruolo di ultimo baluardo prima dell’assalto frontale portato dalla prima vera e propria canzone dell’album: Blood Is My Harvest. Salta subito all’orecchio una vocalità portata all’estremo, grazie a una continua massimizzazione delle venature black che si fondono bene con le ritmiche più sludge della prima metà del disco. Molto più incisiva è la successiva Thresholds che tiene alta la velocità in termini di bpm, ma si inclina maggiormente verso terreni più specificamente black. Molto bello lo stacco a metà brano che valorizza e accentua la ripartenza. Lo stesso discorso vale per la traccia seguente – Gate Dweller – la quale raccoglie una caratterizzazione molto simile, anche nel caso di un altro break provvidenzialmente posizionato a metà traccia. Più frenetica, ma suona esattamente come ci si aspetterebbe. Giunti quasi al giro di boa, il sound dei This Gift si fa più cupo, lascia spazio a un attacco più articolato rispetto alle sfuriate che hanno invaso le nostre cuffie sino ad ora e si avvalgono di un tappeto tastieristico che accentua l’emotività di Monuments For Dead Gods.

 

Ancora una volta il sound cambia radicalmente e si torna su ritmiche più veloci (Wolvking), forti di una sezione ritmica davvero apprezzabile, come del resto succede nella seguente I Am Katharsis, probabilmente il brano più black ‘n roll che troverete nell’intero album, ma anche quello più diretto e maggiormente classificabile come influenzato da un old school che ricopre un ruolo di primaria importanza nel songwriting della band. Apocalittico e inaspettato, In Your Black Halo si fa spazio a gomitate e concede il giusto respiro agli 8 minuti della conclusiva Wormwood Star, ancora una volta tetra grazie a una costruzione che non ha fretta di sviluppare il proprio rituale, ma che caratterizza il sound dei This Gift come nessun altro brano ha fatto sino a questo punto del disco. A mio avviso è proprio questa la direzione che il gruppo potrebbe e dovrebbe prendere in futuro, al fine di creare qualcosa di davvero consistente e leggermente più omogeneo.

A Throne Of Ash è un buon disco, a patto che lo si ascolti senza la pretesa di trovarsi tra le mani un capolavoro. Le sfumature black ‘n roll – o sludge – sono presenti ma più marginalmente rispetto a prima e se questo potrebbe tener a maggior distanza l’utenza black metal più tradizionalista, riesce a donare quel pizzico di varietà ad un album facile da digerire e che non finirà nel dimenticatoio, perlomeno non subito. Va anche detto che se queste corde sono quelle che preferite farvi solleticare, c’è abbastanza materiale e qualità per farlo diventare un disco fisso nella vostra personale playlist. Promosso, anche se avrei sperato di meglio – o ad esser sinceri, qualcosa di differente e che fosse più musicalmente vicino all’artwork datoci in pasto dalla interessante copertina.

  

Brani chiave: Thresholds / I Am Katharsis / Wormwood Star

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