Recensione: A Time Of Crisis

Di Davide Nenna - 22 Maggio 2013 - 13:33
A Time Of Crisis
Band: Heretic
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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65

Da qualche anno stiamo assistendo ad una vera e propria riscossa dell’US power: nomi storici come Helstar, Vicious Rumors, Riot e Armored Saint hanno dato alle stampe lavori più che dignitosi, rinvigoriti da produzioni moderne che hanno saputo aggiornarne il sound senza snaturarlo. All’appello rispondono anche i losangeliani Heretic, resuscitati dalla nostrana Metal On Metal a un quarto di secolo dal primo LP, l’ottimo “Breaking Point”. Non certo teste di serie del genere, i Nostri possono comunque vantarsi di aver lanciato il grande Mike Howe, voce stentorea e personalissima che da lì a poco avrebbe spiccato il volo coi Metal Church, rimpiazzando David Wayne: infatti fu proprio Kurt Vanderhoof, mastermind del quintetto di Seattle e produttore di “Breaking Point” a “scipparlo” alla band, decretandone di fatto lo scioglimento. Purtroppo il buon Mike non fa parte della reunion, essendosi ritirato dalle scene molti anni fa; ecco quindi il ripescaggio di Julian Mendez, voce nell’EP di debutto “Torture Knows No Boundary”.

Diciamo subito che Mendez perde la sfida col suo predecessore/successore per ko tecnico: la sua prova è statica e incolore, aggressiva in modo forzato, molto lontana dalla nitida potenza di Howe; per il resto, le coordinate di “A Time Of Crisis” sono evidenti fin dall’accoppiata iniziale “The Divine Inquisition/Tomorrow’s Plague”: ritmiche serrate accompagnate da melodie oscure ed essenziali, in piena tradizione power/thrash made in USA. Più monolitica “Betrayed”, che si snoda fra tempi medi e rallentamenti all’insegna del più classico groove metal. “Remains” mette in luce qualche influenza sabbathiana, col basso che domina la scena nella strofa, ma presto i Nostri si ricordano della loro natura e piazzano un’accelerazione che cambia pelle al brano. La title track si rivela una speed song lineare, impreziosita da gustosi assoli della coppia d’asce Korban/Rogers. Più cupa “For your Faith”, mid tempo costruito essenzialmente attorno ad un riff ossessivo ma leggermente ripetitivo, mentre con “Raise Your Fist” la band torna a mettere il turbo, un assalto in battere che sembra uscire direttamente dalle corde di Kurt Vanderhoof. “Heretic” è la riproposizione dell’opener di “Breaking Point”, mossa decisamente errata perchè rende ancor più palese l’inferiorità di Mendez rispetto ad Howe; un po’ fuori posto “Child Of war”, brano di chiara derivazione motorheadiana che non convince appieno. “Police State” gode invece di un attacco che più Metal Church non si può (quelli di “The Human Factor”, in particolar modo), mentre “The End Of The World” dopo un incipit alla “Seasons In The Abyss” si evolve in una thrash song piuttosto convincente, caratterizzata da un ritornello martellante e lunghe scorribande di doppia cassa. Sorprende la breve strumentale “Let Me Begin Again” posta in chiusura, fatta di arpeggi ispirati e malinconici: peccato davvero che questa vena melodica sia rimasta confinata in una sola traccia e non diluita nell’album, avrebbe giovato non poco al risultato finale.

Si può tranquillamente dire che il peggior difetto di “A Time Of Crisis” sia anche il suo miglior pregio, ovvero una certa uniformità nel sound: nessun brano si staglia sopra agli altri, ma allo stesso tempo non esiste un vero e proprio filler. Resta il rammarico per un cantato non all’altezza, ma nonostante questo il comeback degli Heretic merita una sufficienza piena: ovviamente consigliato ai nostalgici dei Metal Church, ma anche a chi ha apprezzato gli Helstar più moderni e aggressivi di “Glory Of Chaos”.

 Davide “Dave73” Nenna

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