Recensione: A Tribute To Insanity

Di Andrea Bacigalupo - 16 Luglio 2017 - 9:00
A Tribute To Insanity
Band: Hexenhaus
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 1988
Nazione:
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80

Tecnica e furia: due tra gli elementi fondamentali che costituiscono il Thrash Metal.

Una buona parte dei gruppi che dettero il via al movimento nel 1983, appartenenti alla cosiddetta ‘prima ondata’, suonavano con una tecnica che poteva considerarsi buona, pur se erano l’istinto e la rabbia a prevalere. Questo lo si può sentire in ‘Kill ‘em All’ dei Metallica, in ‘Killing is My Business …… And Business is Good’ dei Megadeth ed in ‘Bonded by Blood’ degli Exodus, per esempio. 

Alcuni di coloro che cavalcarono la ‘seconda ondata’, scatenatasi dal 1985, cominciarono a mettere maggiormente in evidenza le loro capacità di musicisti, componendo brani molto articolati e complessi, in genere meno diretti dei precedenti lavori perché ricchi di cambi di tempo, di variabili sonore e di parti musicali eclettiche, sia a livello ritmico, sia solistico. Si parlava di Thrash ‘tecnico’ ascoltando, ad esempio, ‘We Have Arrived’ dei Dark Angel, ‘Doomsday For The Deceiver’ dei Flotsam and Jetsam,  ‘The Ultra Violence’ dei Death Angel e ‘Forbidden Evil’ dei Forbidden, album pubblicati tra il 1985 ed il 1988, per distinguerli dai lavori di gruppi quali Possessed, Kreator e Destruction, dediti ad un Thrash più schietto ed immediato (non per questo meno valido, s’intende), ma era più un modo di dire, sempre di Thrash Metal si trattava.

Si parlò di Technical-Thrash, dando origine al sottogenere, riferendosi al sound di gruppi quali gli Statunitensi Watchtower, il cui esordio discografico risale al 1985 (‘Energetic Disassembly’) od i Canadesi Annihilator (primo album ‘Alice in Hell’ del 1989’).

Il loro era un Thrash particolare, nel quale non contava tanto il phatos, ma l’uso esasperato della tecnica, utilizzata per suonare brani rabbiosi ed irruenti, dando poco spazio all’istinto ed all’interpretazione. Il Technical-Thrash piaceva: gli Inglesi Onslaught, ad esempio, dediti ad un sound violento e crudo, come dimostrano i primi due lavori ‘Power From Hell’ e ‘The Force’, dettero alle stampe, nel 1989, ‘In Serch of Sanity’ dal marcato tecnicismo.

Arrivarono gli anni ’90: il Thrash entrò in crisi, in ogni sua forma e sottogenere. Il Technical-Thrash aveva anche l’aggravante di non essere facilmente accessibile, vista la complessità delle composizioni, per cui di molte band si parlò poco, pur se brave, e di altre quasi nulla, anche se il loro lavoro andava avanti a dispetto delle nuove tendenze.

Tra questi gli svedesi Hexenhaus, sulla scena dal 1987 al 1992 con tre album (quello di cui parliamo ‘A tribute to Insanity’, ‘The Edge of Eternity’ e ‘Awakening’), tornati nel 1997 per inciderne un quarto (‘Dejavoodoo’) e di nuovo attivi dal 2012.

Gli Hexenhaus sono la creatura del chitarrista Mike Wead (vero nome Mikael Vikstrom), attorno al quale sono ruotati diversi musicisti, appartenenti essenzialmente alla scena svedese.

Nel 1988 il movimento Thrash nel Regno di Svezia era agli albori: a parte l’esplosione Bathory, che impazzava dal 1983, il movimento contava su una manciata di gruppi, forse meno di trenta, dei quali pochissimi incisero (si citano, ad esempio, i Darkane ed i primi Meshuggah) e dei quali quasi nessuno suonava Technical: oltre agli Hexenhaus si ricordano praticamente solo i Reborn, che registrarono un unico demo.

Gli Hexenhaus tennero duro e, nel 1988, incisero il Full-Length d’esordio ‘A Tribute To Insanity’, album che si può accodare ai lavori dei già citati Watchtower e Annihilator: poco meno di tre quarti d’ora di puro, solido e vero Technical-Thrash, suonato in modo preciso e tagliente senza lasciare nulla al caso.

L’album è ‘un tributo alla follia’, che si diffonde attraverso i toni oscuri che permeano ogni solco e per mezzo della voce del singers Nick Johansson, a dir la verità non proprio estesa ed abbastanza monocorde, ma ben calata nella parte.

La tessitura di ogni traccia è complessa perché composta da tempi veloci, suonati con varie andature, che si trasformano in tempi medi e cadenzati, in alcuni momenti repentinamente, in altri frammentati da spasmodici rallentamenti od accelerazioni.

L’album è composto da sette tracce, anticipate da ‘It’, una breve intro strumentale dove l’insania è esaltata dall’oscuro suono di un Synth.

Il primo vero brano, ‘Eaten Alive’, detta subito le regole con un riff aggressivo e veloce, seguito prima da un assolo in sintonia e dopo da un tempo cadenzato con il basso in evidenza; un’accelerazione anticipa le strofe eclettiche ed il refrain pestato cantato con cattiveria, poi il brano accelera di nuovo fino a trasformarsi in qualcosa di diverso e poi nuovamente riprende con le strofe, finendo con un assolo veloce.  

La successiva ‘Delirious’ si muove lungo gli stessi sentieri, con un buon intreccio di strofe composite, refrain secchi, accelerazioni seguite da brevi parti soliste, oltre un assolo di chitarra veloce ed articolato.

La terza traccia è ‘As Darkness Fall’, un opera di oltre dieci minuti che raccoglie tutto quello che sono gli Hexenhaus. All’inizio del brano viene introdotto, ancora una volta, il concetto di follia con l’uso di effetti demenziali, ottenuti facendo girare un disco al contrario. Poi una partenza veloce e pestata conduce al brano vero e proprio, che alterna cambi di tempo a non finire dando a ciascuno la giusta importanza, fondendoli in un unico tessuto dalla foggia continua, ma cangiante allo stesso tempo. Completano il brano l’intermezzo acustico e melodico dal sentore orientale e una parte maestosa e potente, che frammentano l’assalto delle ritmiche thrashy.

La musica di ‘Incubus’ rispecchia il titolo, con il suo andirivieni, il refrain carico di rabbia e le parti folli di Twin Guitars.

Death Walk Among Us’ ha un buon assolo, con contro-assolo iniziale, che porta ad una potente accelerazione ed alle strofe, che irradiano prima potenza e poi velocità, ed al refrain in tempo medio. I ritmi cadenzati della chitarra si contrappongono a ritmiche serrate che poi si spostano nuovamente su tempi medi; chiude un assolo melodico che porta ad un’accelerazione e poi ad una parte finale acustica che sfuma.

Memento Moris/The Dead are Restless’ e ‘Requiem’ concludono degnamente l’album essendo di pari qualità compositiva rispetto alle tracce che le precedono.  

Pregevole è la prova dei musicisti, di buona levatura e padronanza tecnica (a parte il singers, un po’ sotto tono come già detto e che, di fatti, sarà poi sostituito da Tommie Agrippa), anche se magari l’impronta stilistica risulta poco personale, sentendosi nel disco le influenze del sound di King Diamond di ‘Fatal Portrait’.

A Tribute To Insanity’, pur contenendo delle pecche, è comunque un lavoro sopra la media; esprime bene il concetto del Technical-Thrash riassumendo tutti i contenuti di questo particolare sottogenere, che necessita di un ascolto molto attento e ripetuto per riuscire ad assimilare tutte le sue sfaccettature e sfumature.

Non poteva essere più rappresentativo per l’esordio di Mike Wead, chitarrista dalla carriera straordinaria che, nel primo periodo di pausa, dal 1992 al 1997, diede corpo al progetto Memento Mori, insieme ad altri membri degli Hexenhaus ed a Messiah Marcolin, secondo cantante dei Candlemass. Ha inoltre lavorato con artisti del calibro di King Diamond e Mercyful Fate.

Infine, una curiosità sulla cover, che rappresenta il quadro ‘Tresor de Satan’ dipinto dall’artista Jean Delville nel 1895, pittore, scrittore ed occultista Belga, che ritrae dei peccatori intrappolati nei tentacoli di satana. Lo stesso soggetto fu anche utilizzato dai Morbid Angel nel 1991 per la copertina di ‘Blessed Are The Sick’, loro secondo album.

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