Recensione: A World Through Dead Eye

Di Giorgio Vicentini - 5 Ottobre 2004 - 0:00
A World Through Dead Eye
Band: Krohm
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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79

Avete mai sentito il soffio gelido e leggero della morte spirare sul vostro collo? A me è successo ascoltando l’esordio su full lenght dei Krohm, one man band di Numinas (aka Mario Derna), ex membro dei death doomsters Evoken. Purtroppo, anche a causa dei problemi avuti con la casa discografica che inizialmente doveva occuparsi della pubblicazione (Selbstmord Services), A World Through Dead Eyes arriva alle stampe soltanto nel 2004, dopo quasi due anni di gestazione.

Non penso che questo disco sia un capolavoro, non ne ha veramente la stoffa in senso assoluto; se non si è in sintonia naturale con la sua forma potrebbe sembrare perfino noioso, estremamente dipendente da una sostanza compositiva compatta ed uniforme, che crea un mood deprimente che rimane invariato dall’inizio alla fine. Se però, dal primo ascolto si entra in armonia con esso, può essere un meraviglioso viatico per alleggerire la mente ed il corpo, facendo librare stancamente il pensiero, regalando momenti di libertà mentale e psichica vissuti in una sensazione velatamente sgradevole per la sua immutabile disperazione. Trattandosi di un lavoro basato sul feeling, mi trovo in difficoltà nel cercare di descrivere obbiettivamente quali siano le sensazioni che attraverseranno corpo e mente di tutti coloro che lo ascolteranno; troppo personali e dipendenti dalla momentanea predisposizione di ognuno sono le impressioni, quindi difficili dall’essere univocamente esprimibili. Pertanto, non posso fare altro che descrivere ciò che ho vissuto io durante questo viaggio: trasporto.

Ascoltare questo disco, è come iniziare un cammino in un mondo silenzioso e disperato, che pian piano libera dai legami con il reale, per trascendere la forma terrena e lasciar libera di vagare vaporosa l’essenza, spinta dalle carezze sulfuree delle tastiere, leggere come il soffio delle anime erranti che ci circondano. Sembra di poter attraversare un mondo di morte, ma non orrorifico e violento, bensì tenue, suadente e silenzioso, come solo la morte può essere; i cui tratti appaiono imprecisi ed indefiniti, sfumati da un’aria densa come nebbia che pian piano attraversa la pelle ed entra gelida fino allo spirito.

Black metal etereo e malinconico, la cui spinta preponderante è l’espressività delle melodie soffuse delle tastiere, via principale per l’emotività generale, per l’atmosfera carica e trascinante di alcuni passaggi. Sei composizioni dilatate, lente ed avvolgenti come un fumo inodore, maligno ma allettante, che può cullare oltre i limiti terreni, soprattutto negli stacchi più carichi di desolante tristezza. Lasciarsi andare, svincolare la mente e spostarsi sulla spinta emozionale di un pezzo come “When Morning Never Returned”, sorvolando eterei la superficie, facendo compagnia ai fantasmi silenziosi che popolando questa dimensione alternativa, vivibile come un momento di meditazione quasi catatonica, rilassante e capace di sciogliere le tensioni interne liberandole. Una volta terminato il cammino, soltanto una strana sensazione di stanca e vuota inquietudine, velata ma presente.

Trovare nel momento opportuno un disco come questo, può essere la strada perfetta per dare una espressione finita a sensazioni pressanti ed indefinite, che altrimenti rimarrebbero inespresse e rinchiuse; sfruttando l’effetto catartico, che una volta esaurito può far sembrare A World Through Dead Eyes un mezzo vuoto ed inespressivo, tanto quanto prima risultava imprescindibile perché specchio di un momento.

Col senno di poi, due anni sono stati un tempo adeguato per creare un pezzo unico nel suo genere, un’incredibile porta verso un universo angoscioso e lieve, l’unica variabile è dentro ognuno di noi… io ed i Krohm ci siamo incontrati in un momento perfetto.

Tracklist:
01. I Suffer the Astral Woe
02. A Lurking Dream
03. The Waning
04. When Morning Never Returned
05. A World Through Dead Eyes
06. Silence Turns to Gray
07. My Hearse

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