Recensione: A year with no Summer

Di Tiziano Marasco - 20 Aprile 2016 - 18:08
A Year with no Summer
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Tornano gli Obsidian Kingdom, vale a dire la meglio band spagnola in attività, a parere di chi scrive. Magari non la meglio secondo il parere unanime, ma indiscutibilmente una delle più affascinanti. Apparsi due anni fa sulla scena con Mantiis, i catalani sono riusciti fin da subito a guadagnare la stima di una ristretta ricerca di appassionati, di quegli ascoltatori di metal e rock che non si fanno particolari problemi davanti a sonorità spurie e contaminate.

Mantiis era un curioso miscuglio di suoni, principalmente un incontro di sludge, alternative vario e una discreta componente, sonora e attitudinale, propria del prog. Ora è il momento di A yeear with no summer, album che si può definire, senza tema di smentite, un album di conferme. Il suono che ha fatto la fortuna di Mantiis qui perde tuttavia alcune sfumature prog, certe atmosfere di tastiera, e si fa sostenuto da chitarre rugginose. Sembra che gli spagnoli abbiano fatto tesoro di quanto scritto, probabilmente non solo da Truemetal, circa l’architettura delle tracce. Il debut infatti era frammentato in 13 tracce che avrebbero potuto essere raggruppate e dar vita a 7/8 suite. 

Qui, anche a causa di una semplificazione sonora di cui sopra, troviamo sette brani estremamente ben costruiti, estremamente semplici e incredibilmente lineari. Ma anche molto solidi e uniformi, sicché A year with no summer è un disco molto omogeneo. Oltre a questo, la voce del singer Zer0 fa il suo dovere e si accosta al filone delle voci grattate tipiche dell’alternative americano. Ne escono linee vocali piuttosto semplici, che non cercano né il virtuosismo né il ritornello facile che da un sound di questo tipo ci si potrebbe aspettare.

Sicché A year with no summer a tutta prima non fa gridare al miracolo, ma ascolto su ascolto si fa apprezzare in maniera onesta, un album che tira per la sua via e non ha bassi né picchi vertiginosi, sebbene un paio di menzioni vadano fatte per la Title Track, The Polyarnik o The Kandinsky Group. E la presenza di un ospite come Kristoff Rygg in 10th of april e di Attila Csihar (Mayhem) nella già citata The Kandinsky Group dice più di mille parole sul valore di questa band.

Sostanzialmente dunque gli Obsidian modificano la loro proposta in maniera minima, vanno avanti per la loro strada ed ottengono buoni risultati. Tirano dritti per la loro via e si confermano per una band originale con tutte le carte in regola per far bene. E nel caso di qualche fortunata alchimia futura, anche di fare il botto.

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