Recensione: Aathma

Di Gianluca Fontanesi - 8 Marzo 2017 - 0:01
Aathma
Band: Persefone
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2017
Nazione:
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87

Cronaca di un successo annunciato. Aathma è figlio dei nostri tempi e di una pratica che nella musica sta sempre più spopolando: il crowdfunding. La campagna, lanciata sul finire del 2016, raccolse oltre ventiduemila Euro rispetto ai quindicimila richiesti e fu un successone; i fan possono decisamente essere fieri e orgogliosi del loro investimento, perché il risultato è assolutamente spettacolare. Il quinto album degli andorrani Persefone si colloca ai piani alti, se non altissimi di una discografia che, nonostante alcune pecche, è comunque una delle più solide e valide di tutto il panorama progressive death mondiale. Il sestetto del piccolo principato suona una musica con un tasso tecnico di livello altissimo e parecchio virtuosa, il cui unico peccato finora riscontrato è sempre stato un discorso di prolissità generale che in un certo senso ha sempre caratterizzato e penalizzato la proposta del combo. Mixato e masterizzato dal signor Jens Bogren e con una splendida cover ad opera del sempre più richiesto Travis Smith, Aathma mette le cose a posto rivelandosi un’opera nella quale risulta davvero difficile trovare un difetto anche minimo senza farlo sembrare una forzatura estrapolata tanto per fare. Lasciamo quindi che sia la musica a parlare, noi siamo solo umili traghettatori.

Sono due le tracce poste come intro dell’album: An Infinitesimal Spark e One Of Many. Entrambe brevissime e con larghissimo spazio affidato al pianoforte, hanno il compito di preparare il terreno verso quella che sarà la prima vera e propria canzone di Aathma, Prison Skin, e qui le cose diventano parecchio serie. Il brano è 100% Persefone e riporta perfettamente tutte quelle che sono le enormi caratteristiche del gruppo: gusto sopraffino per gli arrangiamenti, una fantasia compositiva e un livello di esecuzione che a tratti ricorda i migliori Dream Theater e tutta la furia che il death metal è in grado di sprigionare grazie al sempre ottimo growl di Marc. Vi è qui anche una grandissima cura nelle clean vocals e relative sovraincisioni, provare per credere specialmente nel ponte, in cui la partitura ariosa sostiene il tutto rivelandosi da brividi. I fraseggi delle chitarre sono allucinanti, la sezione ritmica è la fiera dell’accento e un’alternanza disarmante tra tempi dispari e pattern devastanti, stato di grazia mantenuto praticamente per tutto il minutaggio del disco. Si procede con Spirals Within Thy Being e con la sua chitarra onirica posta in apertura a dialogare col pianoforte; la linea vocale ha un buon impatto emotivo e si incastra alla perfezione coi vari arzigogoli suonati dalla band. Le parti solistiche centrali richiedono più di un chitarrista esperto sia per essere eseguite che per essere concepite e l’atmosfera “spaziale” è resa alla perfezione in particolar modo grazie ad un coretto dosaggio e cura degli effetti. Cosmic Walkers è un piccolo brano strumentale dalla grande importanza strategica: la sua collocazione in tracklist unita alle sue atmosfere pacate ed eleganti lo rendono un episodio riuscitissimo e creante il giusto senso di attesa verso le seguenti composizioni dell’album.  

No Faced Mindless sembra in apparenza un brano molto diretto e brutale; poi invece, vira verso coordinate più progressive e dà il meglio di se nella seconda parte, con una partitura progressive metal di una bellezza disarmante e delle riuscitissime clean vocals. Living Waves ha dalla sua un particolarissimo uso della voce nella prima parte con un effetto spaziale spesso usato in generi molto meno metallici dei quali non osiamo scriverne il nome e un ponte di tutto rispetto con un bislacco suono di tastiera che riporta dritto agli anni ’80 e i fasti di certe sue produzioni. Anche qui molto belle le clean e di facile presa, assoli sorprendenti e finale da scapocciamento puro completano l’opera. Vacuum è il secondo, necessario intermezzo strumentale che, questa volta, è acustico e lasciato alle chitarre e una tastiera ambient: ancora una volta il giusto break prima di tornale alle ostilità e al gran finale sempre più imminente. Stillness Is Timeless è aperta da un riff di chitarra tra i migliori mai composti dai Persefone, e la totalità del brano non è certo da meno. Nove minuti e trentasette secondi di pura libidine nei quali fa capolino anche un blast beat a sorreggere un’ottima clean; il pezzo gode e trasmette un nervosismo e una schizofrenia generale che rendono il tutto imprevedibile e altamente appagante. Sono molti gli stacchi e gli sbalzi d’umore per un brano che non conosce punti di riferimento e si diverte a prendere in giro l’ascoltatore andando a parare un po’ dove vuole lui, passando dalla più brutale delle violenze alla più soffusa delle arie da camera o viceversa. Veramente notevole.

Il gran finale di Aathma è affidato alla titletrack, una lunga suite di venti minuti suddivisa in quattro movimenti. La band ne era molto orgogliosa già in fase di presentazione dell’album e non a torto: il livello qui è superiore e porta i Persefone a una vetta compositiva e artistica attualmente irraggiungibile dalla maggior parte delle altre band di genere in circolazione. Il primo movimento, Universal Oneness, possiamo suddividerlo in 2 fasi: la prima strumentale ed introduttiva, progressive allo stato puro e atmosfera, e l’altra più diretta e brutale nella quale si susseguono bordate estreme di ogni tipo ed estrazione. Spiritual Bliss è introdotta da una voce femminile e cambia totalmente il mood con un crescendo melodico cinematografico e di grande impatto, la cui esplosione sugli accordi aperti si rivela il giusto approdo per la voce e la seguente parte strumentale farà venire i brividi a ben più di un ascoltatore. One With The Light riprende con gli assalti frontali e lo fa direttamente e senza fronzoli di alcun tipo. Lo scampolo di suite ha un buon groove e gli svariati tempi in 2/4 alternati ai tappeti di doppia cassa sono adeguati per ogni tritacarne che si rispetti. La parte vocale in clean è la migliore dell’album ed è seguita da un solo che ne continua la melodia unendosi al tripudio; ci si avvicina al gran finale, Many Of One, che si presenta col pianoforte in solitaria e una voce femminile assolutamente da lacrime. Magia pura.

Che dire ora? Aathma è un disco bellissimo, magnifico; i Persefone si confermano come sempre una delle più grandi realtà in circolazione e questa volta lo fanno assolutamente col botto. Aathma mette a posto tutti quelli che erano i difetti della band: dalla prolissità alla troppa ostentazione di tecnica e virtuosismi fino ad arrivare alle clean vocals non troppo curate. Qui funziona tutto: il disco non stanca, anzi, è un percorso di crescita totale e appagante oltre che a un concentrato di sfumature che si concedono sia dopo pochi che dopo molti ascolti. C’è sempre qualcosa di nuovo da trovare in Aathma, c’è sempre un easter egg di qualche tipo o un fraseggio che prima ci era sfuggito; c’è sempre voglia di ascoltare un disco del genere come c’è sempre musica in grado di colpire e arrivare dritto al cuore. In questi tempi dove l’ostentazione e lo sbattere in faccia l’essere bravi con uno strumento viene prima delle canzoni e di molti valori artistici, i Persefone riescono ad unire in maniera quasi perfetta perizia tecnica e arte e il risultato è Aathma, assolutamente sbalorditivo. Disco dell’anno 2017 quindi? Forse.

 

Ps: La versione limitata in digipack contiene un traccia in più, cioè Prison Skin strumentale. That’s all folks!

 

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