Recensione: Abduction

Di Daniele D'Adamo - 3 Luglio 2015 - 22:56
Abduction
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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66

A ben ventiquattro anni dalla data di nascita (1991), i mantovani Genital Grinder raggiungono finalmente il traguardo del debut-album, intitolato “Abduction”. Un’impresa dovuta alla spinta di una tanto vitale quanto ultra-underground etichetta discografica nostrana Eyes Of The Dead Productions. Un lasso di tempo indubbiamente esteso, che tuttavia non impedisce ai Nostri di far parte, per meriti raggiunti, della N.W.O.I.D.M. (New Wave Of Italian Death Metal).

Meriti che consistono sostanzialmente nell’aver prodotto comunque un sound totalmente professionale (registrazione, missaggio e masterizzazione a cura di Luca Cocconi e Simone Sighinolfi presso i Silver Music Studio), perfettamente adeguato agli standard che i tempi moderni esigono, da una mostruosa compattezza compositiva e, non ultimo, da un artwork fantascientifico dal vago sapore retrò (curato da Mark/Mindrape Art). 

Come si può immaginare dall’affermazione riportata al capoverso precedente, i Genital Grinder picchiano durissimo, accelerando spesso oltre i limiti dei blast-beats, lasciando alcune volte spazio ai furibondi scatenamenti del grind (“Arise”) oppure, come in “Ufo”, a evidenti echi di ‘slayeriana’ memoria. Probabilmente non si raggiunge l’apice della tecnica come in altri ensemble specializzati tipo Antigama, ma Ale e i suoi compagni ci sanno davvero fare, con i propri strumenti. Proponendo così un death metal venato sì da fioriture di *-core (si ribadisce: versante grind), ma pur sempre fedele alla linea che, proprio all’inizio degli anni novanta, indicò la corretta via per intraprendere la propria carriera di musicisti death.

Riff su riff, ovviamente thrashy per background culturale, ma comunque volti a chiudere le membrature di una struttura che, sia per il roco e stentoreo growling di Gala, sia per il drumming assai tecnico di Buccia, valente…  polipo dietro alle pelli (“Undead”), non può che indirizzarsi nell’infinito territorio del death metal.

Un death metal feroce, belluino, immediato seppur tutt’altro che lineare; scevro da contaminazioni non-ortodosse, tirato, furente, che non presenta mai un attimo di tregua. Genuinità al 100%, insomma, nei confronti del proprio credo musicale; nella difesa di un’attitudine profondamente radicata, nella band, nel voler suonare a tutti i costi qualcosa di proprio. Lontano da modelli magari più moderni ma senz’altro più poveri di passione. Ensemble comunque capace di essersi evoluto negli ultimi tre lustri con una buona progressione tecnico/artistica, come dimostrano facilmente “Serial Killer” e “Trail”, bonus-track provenienti da “Promo 2002”, EP del 2002, appunto.

Manca un po’ di varietà nelle song, nel senso che il loro insieme appare eccessivamente compatto, con pochi elementi di riconoscimento fra l’una e l’altra. Che sia un limite oppure una scelta voluta non è dato di saperlo. La botta allo stomaco che infligge “Abduction” è di tutto rispetto, e così va presa. Va sofferta, va goduta.

Del resto, il death metal non è (era?) un genere per… ‘signorine’.     

Daniele “dani66” D’Adamo

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