Recensione: Above The Light [reissue]

Di Andrea Arditi - 29 Gennaio 2006 - 0:00
Above The Light [reissue]
Band: Sadist
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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80

L’album cui mi accingo a parlare è di un gruppo italiano che ha ottenuto più consensi all’estero che non nel suo paese di origine: i Sadist.
Band genovese formata da ottimi musicisti alcuni dei quali provenienti dagli allora sciolti Necrodeath,
si tratta di un combo di indubbio talento ed altrettanta manifesta genialità mostrati appieno nei loro due primi album, il qui presente Above The Light e il seguente ed altrettanto bello Tribe.
La musica contenuta all’interno di questo platter si può definire “in anticipo sui tempi”, questo perchè al death classico di derivazione thrash che fino ad allora veniva proposto, i nostri Sadist contrapponevano una musica di chiaro intento sperimentale con l’ausilio di uno strumento che, al tempo, nella musica estrema non era ancora stato sfruttato (la tastiera) andando a creare un’atmosfera assolutamente particolare. Il gruppo di
Tommy si colloca all’interno di una scena in assoluto fermento, ma sicuramente non tra coloro che si accodano, bensì tra chi il genere collabora a migliorarlo e tra cui possiamo annoverare i Nocturnus che con The Key prima e Thresold poi, compongono due capolavori di techno death supportati da una tastiera anche qui molto ben amalgamata con i restanti strumenti ed alquanto atmosferica e i Phlebotomized di Immense Intense Suspence (1994), anche loro autori di musica assolutamente di livello ed originale nella sua struttura portante vista la presenza di partiture di tastiera che rimandano alla musica classica. Se ci aggiungiamo a questi gente come i Cynic (Focus – 1993) e i Death di Individual Thought Patterns anch’esso del 1993, possiamo vedere come la musica estrema stesse attraversando un periodo di rivoluzione intestina che l’avrebbe portata a partorire album splendidi seppur capiti con qualche anno di ritardo.
Questo è proprio il caso di Above The Light, platter capace di emozionare grazie ad un’atmosfera assolutamente unica, depressiva e malinconica che accompagna l’ascoltatore fin dal suo incipit, lasciato in mano ad una intro in cui si odono in lontananza un gruppo di gabbiani che ci conducono al secondo pezzo, uno dei migliori in assoluto, vale a dire Breathin’ Cancer, aperto da un arpeggio melodico rotto dal growl possente di Andy, cui farà seguito il riff portante ogni tanto alternato ad altri di tastiera assolutamente godibili e a cambi di tempo tanto prevedibili quanto belli.
Il terzo pezzo, Enslaver Of Lies, mostra un’altra caratteristica fondamentale dell’album oltre a quelle già citate, ovvero la parte solistica: la traccia in questione infatti, e la prendo apposta in esame, ha dalla sua uno degli assoli più belli del disco, molto melodico ed emozionale al punto giusto, è in pieno stile neoclassico come del resto lo sono la maggior parte dei qui presenti, arrivando però con essa a sfiorare l’eccellenza.

La successiva Sometimes They Come Back scorre tranquilla passando da un’intro melodica sostituita dal riff portante cui seguirà una seconda parte che definirei delicata e raffinata in tutto il suo incedere e che ci condurrà alla successiva Hell In Myself, il cui titolo basterebbe già per descriverla, basti pensare che ha un’alternanza continua di parti veloci ad altre più lente, sfuriate incredibili alternate a riff di tastiera più morbidi e tutto va a collaborare alla realizzazione di una canzone che in una parola sola sintetizzerei come “Schizzata”, un ribollire di emozioni assolutamente differenti tra loro e che portano ad una sorta di conflitto interiore o, come dice il titolo stesso: “Inferno Interiore”.

La sesta canzone si intitola Desert Divinities ed ha un inizio emozionale, tutto basato su un riff di tastiera tanto dolce quanto malinconico interrotto da un riffone di antica memoria thrash che farà da apripista alla struttura portante del pezzo, una vera e propria mazzata sui denti per l’ascoltatore che fino a quel momento tutto si aspettava, meno che fosse il pezzo più violento del cd, ogni tanto interrotto bruscamente dalla solita
apprezzatissima tastiera.
La successiva Sadist è una strumentale, a parere di chi scrive di derivazione progressive e che tra l’altro ricorda molto lo stile della title track di un celebre album, Suspiria
(Goblin), assoluto capolavoro, non tanto per la melodia che può richiamarla a tratti, quanto per la solennità ed il senso di malessere che si va a insinuare nell’ascoltatore che si accinge a farsi coinvolgere da essa.

A chiudere il disco ci pensa Happiness ‘n’ Sorrow il cui riff principale mi ricorda molto lo stile slayeriano seppur nel suo proseguimento si staccherà del tutto da esso mantenendo quell’originalità e quella personalità che per tutto il corso dell’album si sono manifestate facendo comprendere che i Sadist sono una realtà a sè stante, che sicuramente attinge dalle proprie influenze facendole però del tutto proprie e facendone di esse una creatura
riconoscibile da sole due note che suonano “à la Sadist”, complice anche il fatto, e mi duole trovare aspetti negativi in un album che per me è un semi-capolavoro, di avere una produzione scadente e un singer che rispetto ad altri suoi colleghi è piuttosto al di sotto delle aspettative e come timbro e come tecnica.

In conclusione consiglio l’album a chiunque ami la musica sperimentale ed estrema che sappia coniugare la potenza alla melodia perchè in
Above The Light alberga tutto ciò.. un classico italiano da riscoprire, amare e consigliare.

Nota – Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli: il disco è stato appena
ristampato da Beyond Productions/Masterpiece, per questo motivo ho deciso di
inserirlo tra gli album nuovi e recenti. La nuova versione vede un mastering
completamente restaurato, con suoni sicuramente più puliti e definiti, ma
conserva la genuinità delle sonorità di quegli anni. In coda al disco vengono
aggiunte 2 bonus tracks registrate nel 2000: si tratta di Dreaming
Deformities
e Musicians Against Yuppies. La prima si mantiene sulla
scia dei Sadist noti al pubblico, con un interessantissimo death tecnico forse
più vicino alle sonorità di Crust che a quelle del debuto,
com’è naturale che sia del resto; la seconda è invece un pezzo abbastanza
insolito: un brano che rasenta l’hardcore, soprattutto per quanto riguarda la
voce di Trevor, almeno sino al break centrale con assolo e tappeto di tastiera.
Da sentire e gustare entrambe in ogni caso, aggiungono valore ad un disco valido
già di suo.

Tracklist:

1. Nadir
2. Breathin’ Cancer
3. Enslaver Of Lies
4. Sometimes They Come Back
5. Hell In Myself
6. Desert Divinities
7. Sadist
8. Happiness ‘N’ Sorrow

Bonus Tracks:

9. Dreaming Deformities 2000
10. Musicians Againts Yuppies 2000

Line Up:
Peso – Batteria
Andy – Basso e Voce
Tommy – Chitarra e Tastiera

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