Recensione: Acceleration

Di Matteo Salvarezza - 26 Luglio 2014 - 9:30
Acceleration
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Anno: 2004
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75

“Il progetto è stato fondato con lo scopo di studiare il comportamento dell’umanità per acquisire una maggiore consapevolezza e conoscenza del genere umano e dei suoi schemi di pensiero, ottenendo la comprensione di cose inspiegabili, legate al modo in cui gli umani interagiscono e comunicano.
[…]
Gli elementi usati nella costruzione del dispositivo saranno quelli dell’articolazione attraverso il suono, più specificatamente armonia e melodia combinate con vocalizzazione uditiva.
[…]
Il dispositivo sarà poi reso disponibile per l’osservazione acustica sequenziale attraverso una duplicazione multipla ed una estensiva distribuzione.”

Quali migliori parole se non quelle degli autori stessi, fedelmente tradotte dal loro sito ufficiale, per introdurre l’ennesima trovata della scena Avantgarde norvegese? Il side project Age of Silence esordisce nel 2004 con il concept album “Acceleration”. La tematica, parzialmente rivelata dalle parole in apertura, è la condizione umana in una moderna società distopica, dominata dalla tecnologia e votata ad una frenesia produttiva in costante accelerazione (da cui il nome dell’album). I protagonisti annoverano tre quinti dei Winds, nella fattispecie Andy Winter (tastiere), Hellhammer (batteria), Lars Eikind (basso e una manciata di apparizioni vocali), e metà dei Solefald, rappresentata da Lazare (voce principale). Completano la formazione Joacim Solheim e Helge K. Haugen (già membro dei Winds nel loro ep d’esordio “Of Entity and Mind”), figuranti rispettivamente come Extant e Kobbergaard, alle chitarre. 

Ebbene, cosa hanno cucinato per noi ascoltatori questi sei signori norvegesi? “Acceleration” si muove in una sorta di terra di confine tra il Progressive Metal e il multiforme calderone di ciò che al giorno d’oggi indichiamo come Avantgarde, termine usato per descrivere una vasta gamma di sonorità, ma forse con un comune approccio di fondo. I pezzi sono caratterizzati da assenza di struttura e continuo cambiamento, nella migliore tradizione Prog Metal, anche se spogli dalla sua caratteristica complessità ritmica. Il sound, sposato alla perfezione con il concept, è spesso freddo e roccioso, non veloce, dominato dalle chitarre, che fanno da elemento di contatto con il Metal più canonico e diretto. Assoli e virtuosismi sono ridotti a zero, in favore della sola parte d’accompagnamento, compatta e potente. Il drumming di Hellhammer è perfettamente funzionale a sostenere questo riffing, ottenendo quell’ottimo compromesso tra potenza e ricchezza di fraseggio di cui fa sfoggio nei dischi degli Arcturus.
Su questa solida base poggia il cantato di Lazare, purtroppo, almeno a parere di chi scrive, un punto debole dell’album. Questo imprevedibile e geniale polistrumentista sa certamente cantare, ma è ben lontano dall’essere una voce dotata di personalità timbrica, a differenza di alcuni suoi colleghi della stessa scena (Vortex, Vintersorg, Garm). Più invalidante ancora, su questo album, è la sua quasi assoluta mancanza di versatilità: inflessione e interpretazione restano totalmente invariate per tutta la durata, il timbro è piatto e indifferente, cosa che rende i pezzi molto più noiosi di quanto meritino. Nei Solefald, grazie alle frequenti alternanze col compagno Cornelius (vero vulcano rigurgitante di differenti interpretazioni vocali) questa caratteristica non incide, ma, in questo caso, emerge chiaramente come non sia in grado di sostenere un lavoro di main vocals convincente sulle sue sole spalle, o quantomeno non con questo metodo. Un vero peccato, poi, che non si sia occupato della stesura della musica, ma solo dei testi e del concept, avrebbe certamente saputo dare una marcia in più al tutto in fase di composizione. Limiti dell’esecuzione a parte, le parti vocali sono comunque preparate in modo attento e raffinato, con frequenti cori come dalla migliore tradizione solefaldiana.
Quando poi Lazare tace, irrompe prepotentemente sulla scena il pianoforte di mister Andy Winter, quello stesso pianoforte che fatto la fortuna dei dischi dei Winds. Winter si conferma essere uno strumentista dall’enorme bagaglio tecnico e dall’estro prorompente, assolutamente unico nella scena, riconoscibile in una manciata di note. I suoi interventi sono di grande effetto, fanno spesso rizzare le orecchie testimoniandoci di essere di fronte ad un musicista dallo stile molto originale e dalla grande personalità. In “Acceleration” firma sette pezzi su dieci, tra cui spiccano l’incalzante “The Concept of Haste”, l’inquietante “A Song for D. Incorporated” e “The Flow at 9:30 am”, dalle interessanti melodie. Questi sette pezzi presentano, oltre al già citato pianoforte, altre caratteristiche affini alle produzioni dei Winds, sul piano della costruzione del pezzo e della durata (più corta della media nel genere, sui 4-5 minuti). Oltre al pianoforte abbiamo poi una certa presenza orchestrale (dal carattere contenuto e discreto, lontano dalle orchestre massicce e pompose del metal sinfonico) e qualche apparizione di synth. 
A partire dall’ottava traccia, lo zampino di Winter lascia il posto a quello dei due chitarristi Extant e Kobbergaard. Il primo, in particolare, contribuisce con la bellissima “90° Angles”, forse l’apice dell’album. Circa sette minuti e mezzo segnati prima da semplici (rispetto al resto dell’album) ma trascinanti melodie, poi da un parziale ritorno alle sonorità più fredde e cervellotiche appena abbandonate.

Senza dilungarci ulteriormente su altri dettagli, concludiamo dicendo che questo “Acceleration” è certamente un buon disco, interessante e personale, che può vantare un grandissimo lavoro di pianoforte, nonostante un approccio più vario alle voci avrebbe senza dubbio reso più giustizia alla musica in esso contenuta. Sicuramente un album che merita la sua fetta di attenzione da parte degli ascoltatori nel filone Avantgarde.

Matteo “Il Luppoooo” Salvarezza

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