Recensione: Accursed [EP]

Di Daniele D'Adamo - 22 Maggio 2019 - 17:25
Accursed [EP]
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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82

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Dopo due album in sequenza (“The Prodigal Empire”, 2011; “II”, 2016), “Accursed” è il nuovo EP dei Vale Of Pnath. Un’asserzione che tentenna parecchio, però, poiché la sua durata è quasi di mezz’ora; quando esistono full-length, così definiti, dal minutaggio inferiore. Ma tant’è, non resta che legare l’asino dove vuole il padrone.

Si tratta quindi di un dischetto carnoso, formato da sette song di cui un breve incipit (‘Shadow and Agony’) e un altrettanto breve intermezzo ‘Audient Void’, volti ad accompagnare cinque nuove canzoni.

Proprio ‘Shadow and Agony’ stabilisce il mood del lavoro: cupo, tetro, tenebroso. Un umore spesso e deciso, che rende immediatamente onore ai Vale Of Pnath quale band capace di esprimere emozioni vive, lucide, profonde. 

‘The Darkest Gate’, e i Nostri partono a razzo. Violentissimo l’impatto sonoro da essi generato, alimentato da una tecnica strumentale eccezionale, degna del technical death metal. Che, però, viene offerto assieme a soluzioni melodiche in certi momenti addirittura accattivanti, definendo così uno stile piuttosto personale e abbastanza raro nel panorama del metal estremo internazionale. 

Lo spaventoso screaming di Reece Deeter, velocissimo nel restituire parole e frasi, altri non è che il nocchiero di una potenza enorme, sterminata, terremotante, tenuta a bada dalle chitarre di Vance Valenzuela e Harrison Patuto, autori di un infinito muro di suono, cementato alla massima durezza possibile dalle scudisciate del basso di Andy Torres e dai furibondi, violentissimi blast-beats di Eric W. Brown. Non solo, terrificante anche in occasione dei più semplici quattro-quarti, utilizzati raramente (‘Skin Turned Soil’) ma in grado di far esplodere il tutto come un termoreattore nucleare. Eccellente l’idea di accompagnare il tutto con campionamenti, pianoforte e leggere trame di tastiera, atti a rendere il suono più caldo ma soprattutto, come già accennato, più armonico. 

Tutto ciò rappresenta il punto forte del combo di Denver, capace di oltrepassare abbondantemente la barriera della follia con grande perizia tecnica e ottima attitudine compositiva. Pur essendo complesse e intricate, le tracce di “Accursed” scivolano via con encomiabile scioltezza, tutte rispondenti al marchio di fabbrica disegnato dai Vale Of Pnath stessi ma anche dotate di carattere proprio. Proprio la title-track è uno sfascio assoluto, che raggiunge i lembi più oltranzisti raggiunti da pochi altri esseri umani, come i terrificanti Myrkskog, giusto per dare l’idea con esempio assai calzante. Pur essendo sconquassanti, i brani si susseguono con foga, instillando nell’ascoltatore quella curiosità che deriva dal non sapere che cosa ci sia dietro l’angolo. Anche questo è un bel pregio, giacché indica con chiarezza che la noia nemmeno si avvicina, ad “Accursed”.

‘Obsidian Realm’ prosegue nello sfacelo più totale, con un ordine e una pulizia sia tecnica sia compositiva davvero encomiabile. Le chitarre, qui, oltre a un devastante riffing – e in particolare il main riff, titanico, da rovesciare un carro armato – , offrono pregevoli orpelli che brillano di metallo prezioso. I rallentamenti, che si aprono improvvisamente nell’abnorme massa di musica, servono proprio a questo, a creare il terreno per il fine lavorio delle sei corde. 

‘Spectre of Bone’ chiude l’opera con una breve orchestrazione (sic!) che fornisce il leitmotiv principale sul quale i Vale Of Pnath volano oltre la velocità del suono. Da strappare la pelle dalla carne le improvvise, mostruose accelerazioni che, in ogni caso, non si scostano mai da una intelligibilità tale da rendere le partiture perfettamente comprensibili.

Niente da fare, quando una formazione ha un quid in più delle altre, si fiuta praticamente subito. È è quello che sublima immediatamente dai Vale Of Pnath che, con “Accursed”, dimostrano di essere pronti anzi prontissimi per un grande, agognato, terzo disco.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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