Recensione: Across The Abyss Of Death

Di Daniele D'Adamo - 13 Settembre 2015 - 18:52
Across The Abyss Of Death
Band: Kaptivity
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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74

Era il 2011 e i parmensi Kaptivity pubblicavano il loro debut-album: “Walk Into The Pain”. Da allora sono passati quattro anni, Luke ha occupato il sedile di Dany alla batteria, Zi se ne è andato – con conseguente formazione ridotta a quattro elemento – e, soprattutto, la Lo-Fi Creatures ha chiuso i battenti.

Così, ai Nostri, per dare alle stampe il secondo full-length, non è rimasto che mettere mano alle tasche e a pubblicare un’autoproduzione, intitolata “Across The Abyss Of Death”.

Un ‘passo indietro’ soltanto formale e quindi non sostanziale, poiché il nuovo lavoro è confezionato in maniera impeccabile, sia per ciò che concerne la parte grafica, sia per quanto riguarda la completezza delle informazioni, testi compresi. Un’ulteriore prova, insomma, che l’‘italian death metal’ esiste davvero, e che in questi anni gode di ottima forma.

Una forma evidentemente derivante da una passione sterminata e da uno spirito di abnegazione assoluto, che anima il movimento e, quindi, anche i Kaptivity. I quali, malgrado le vicissitudini più su elencate, non si sono arresi e hanno proseguito per la propria strada.   

Nonostante i cambi stilistici citati nelle note biografiche allegate al CD, nelle quali si legge che, addirittura, l’odierno quartetto è transitato, una decade fa, addirittura nel black metal sinfonico; la matrice tipologica sulla quale i Kaptivity intrecciano le loro song è similare a quella di “Walk Into The Pain”.

Death metal old school, ma non troppo, pesante, massiccio. A volte anche violentissimo, quando spinto dai furibondi, convulsi blast-beats di Luke. Il quale, a dispetto della voluta semplicità ritmica del sound, non lesina passaggi più o meno complessi, cambi di tempo, rallentamenti, accelerazioni.

Se si deve parlar di media, si può affermare che il feroce death del cavernosissimo Il Franz e compagni ami i mid e gli up tempo. Dando con questo una costante sensazione di oppressione, di corpulento soffocamento. Anche se, a onor del vero, le cose non cambiano anche quando si alza vertiginosamente il volume di spinta. Come nella terremotante, travolgente, annichilente “Enslaved By Thoughts”, brano che non ha niente da invidiare a niente e a nessuno, in quanto a rigore stilistico, coerenza compositiva e furia devastatrice.

Una capacità di scrittura che si evidenzia con facilità nella suite “Room Of Destiny”. Ben strutturata, ricca di variazioni sul tema, immutabile nel rispetto dei dettami sia del genere sia della band. Comprensiva, pure, di qualche accenno melodico retaggio, forse, di quel lontano passato sopra menzionato.

Alla fine le conclusioni sono le solite: com’è possibile che un ensemble di ottima caratura come i Kaptivity, in grado di confrontarsi tranquillamente alla pari con il Resto del Mondo, sia a spasso, alla ricerca di un contratto discografico che, perlomeno, dovrebbe esser cosa dovuta, in questo specifico caso?

Bravi, comunque, bravi!

Daniele D’Adamo

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