Recensione: Aègis

Di Franco Torelli - 23 Luglio 2006 - 0:00
Aègis

Sembra essere il tempo a fare i classici. Pochi sono i dischi che sopravvivono all’inesorabile scorrere del tempo, rimanendo sempre attuali, senza perdere la loro universalità. La musica cambia e si rinnova con il tempo e con la gente, ed ecco che i grandi successi del passato appaiono sempre più opachi e antiquati, svuotati del loro significato. Eppure ci sono quei dischi che sembrano senza età, che ammiccano al passato ma risultano essere sempre presenti. E’ il caso di “Aégis”, che dopo otto anni sembra ancora essere una nuova uscita, come se non fosse invecchiato di un solo giorno.

Siamo nel 1998, quando i norvegesi Theatre of Tragedy avevano già raggiunto la maturità musicale e il meritato successo con “Velvet Darkness They  Fear”, affermandosi come una delle prime band a proporre l’alternanza di voce femminile e di growl maschile, incorniciata da atmosfere tipicamente gotiche. In questo contesto “Aégis” viene alla luce quasi come una sorpresa, come qualcosa che intende rompere con il passato pur mantenendo i tratti caratteristici del sound della band. Filo conduttore tra gli otto brani è il celeberrimo tema della donna e della perdita dell’amore. In ogni traccia si narra di celebri personaggi femminili della letteratura e della mitologia, in particolare greca e romana. E sono proprio la bellezza, l’eleganza e il fascino a emergere nell’allora nuovo sound dei Theatre of Tragedy.

Le atmosfere create da Rohonyi e compagni sono a tratti sospese, metafisiche e celestiali, e nel loro fascino non possono che ammaliare l’ascoltatore. Ma non dimentichiamo le origini essenzialmente gotiche della band.
L’artwork mostra una rosa rossa: da un lato in pieno fiore, dall’altro appassita, morente. L’amore e la bellezza non sono che una rosa destinata, prima o poi, a sfiorire. Ed ecco che in “Aégis” assistiamo al continuo passaggio dalle atmosfere fiabesche, a momenti estremamente drammatici, malinconici, di profondo rimpianto e rammarico. E il candore arriva ad assumere tratti sempre più oscuri, consumandosi talvolta nella tragedia.
Quest’ambiguità viene rispecchiata anche nei testi, da sempre affidati al vocalist Raymond Rohonyi, curatissimi e carichi di fascino grazie all’uso dell’inglese arcaico e di un lessico ricercatissimo proprio della poesia antica. Se da un lato le liriche risultano essere molto complesse, la tecnica, già dimostrata nei precedenti platter, viene in parte accantonata per far spazio alle emozioni. Ascoltando non assistiamo ad alcun virtuosismo tecnico, gli arrangiamenti sono generalmente semplici ed essenziali ma azzeccati, facendo leva su melodie molto ricercate e orecchiabili, difficilmente banali. L’elemento trainante delle composizioni è generalmente il sintetizzatore, con un sound più elettronico e sempre meno sinfonico rispetto agli album precedenti. Le chitarre vengono messe in secondo piano come supporto alle tastiere e alla voce, assumendo un suono a volte più metal e doom (sulla scia di “Velvet Darkness They Fear”), a volte più vicino al gothic rock degli anni ’80, con distorsioni sognanti che si disperdono negli arrangiamenti.
Il risultato è particolarmente affascinante e interessante, anche se non mancano alcuni isolati momenti piuttosto noiosi o ripetitivi, come l’esasperato ripetersi del ritornello in “Aode”, o la quasi pop “Siren”. Le voci dei due cantanti vengono messe ancora più in rilievo rispetto al passato. Questa volta Raymond Rohonyi si stacca sensibilmente dal growling per dedicarsi a parti quasi parlate o sussurrate, assumendo le fattezze di un poeta o di un cantastorie. Tuttavia questa sua nuova prestazione vocale a tratti appare un po’ troppo monotona o cantilenante, rimanendo comunque adatta alle atmosfere proposte dalla band.
Al contrario, l’ormai famosissima, Liv Kristine ci dona l’interpretazione più interessante ed evocativa della sua carriera, contribuendo abbondantemente con la sua voce celestiale e azzeccatissima alla riuscita di un album che ha ancora molto da insegnare a quel presunto
gothic che oggigiorno si propone di scalare le classifiche.

In definitiva “Aégis” non si propone di certo come un album per gli amanti della tecnica o del metal più estremo, ma si conferma come un vero e proprio colpo di classe e un disco che non può mancare nelle collezioni dei più sognatori, rimanendo ancora oggi personalissimo e unico nel suo genere.

Line-Up:
Raymond Istvàn Rohonyi – Vocals
Liv Kristine Espenæs – Vocals
Lorentz Aspen – Keyboards
Frank Claussen – Guitars
Tommy Olsson – Guitars
Eirik T. Saltrø – Bass
Hein Frode Hansen – Drums

Tracklist:
01 Cassandra
02 Lorelei
03 Angélique
04 Aode
05 Siren
06 Venus
07 Poppæa
08 Bacchante

Franco Torelli