Recensione: Aeons in Tectonic Interment

Di Andrea Poletti - 24 Dicembre 2015 - 12:00
Aeons In Tectonic Interment
Band: Tyranny
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2015
Nazione:
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85

Il buio, l’annullamento, la separazione di vita e morte, la brama di non-essere, stringere un patto con gli abissi, cibare la nemesi creatrice o anche solo chiudere gli occhi per allontanare la realtà. Lente sciagure che si stagliano nell’orizzonte vitale dell’uomo per perdere passo dopo passo la sfocatura che lo lascia indifferente al quotidiano, morire per rinascere, morire per apprezzare la vita nella sua forma più semplice e cristallina, morire per respirare in via definitiva. Parole ipoteticamente irrazionali che portano verso un minimo comune denominatore: Tyranny. Non una band come le altre ma uno status mentale e psicofisico che inghiotte la luce per giocare a scacchi col destino dell’uomo. La Finlandia è da sempre accostata al funeral doom, la nemesi dello star bene per aprire l’ignaro portone che separata l’io dal non ritorno; parole come macigni, frasi quali martelli per suggellare Aeons in Tectonic Interment (Eoni nella tumulazione tettonica) in un manifesto per il declino del mondo. Seppellire attraverso le ere la terra attraverso azioni più o meno artificialmente razionali dell’uomo, destinato ad una estinzione certa, sparendo dal quieto vivere solamente dopo aver distrutto tutto ciò che gli ha donato vita. Subire, annullare, cancellare ogni forma di speranza per attendere silenziosi l’arrivo della fine. Questo secondo tassello a dieci anni precisi da Tides of Awakening ci conferma come l’attitudine se viscerale, non muta, non plasma, cresce come un verme solitario nelle interiora e divora, passo dopo passo, ogni respiro, ogni battito di ciglia per donarlo al nulla. Ascoltare album come questo non è per tutti, percepire l’intento che risiede alla base di questo mastodonte servono predisposizioni tali che non tutti hanno in dono. Non per  superficialità, non perché “non ne si è all’altezza” ma perché semplicemente solamente chi soffre e comprende dove porta questo sentiero ha la possibilità di analizzare senza preconcetti evitando di lasciarsi sopraffare dalla marcia funerea delle note qui proposte. Ogni anno decine di volte si parla di capolavoro, di insuperabile, di top ten e ogni qualsivoglia aggettivo attribuibile ad un disco riuscito discretamente bene; Aeons in Tectonic Interment non fa parte di nessuna top ten, non è proporzionale a ciò che è uscito nei dodici mesi appena trascorsi e a quelli precedenti. Un album che cancella e vive in un luogo asettico dove le proporzioni con il dolore sono sempre dalla parte del malcontento. Funeree ombre si stagliano lungo ognuna delle cinque canzoni che come un mastodonte lento ed inesorabile procede in direzione opposta al sole. Non si raccontano, non si descrivono e sopratutto non si paragonano a niente e nessuno. Comprare o ascoltare i Tyranny vuol dire che si è pronti a prendere coscienza del fatto che non si vale nulla, un numero in mezzo a molti e loro, sapendolo da sempre, ci ricordano quanto siamo parte dell’oblio che ci inghiotte, uno dopo l’altro diventiamo un numero zero che svanisce attraverso un soffio nel vento.

Aeons in Tectonic Interment è una vendetta verso quello che in molti chiamano “il dono della vita”, un album che ti avvicina, anche se solo per cinquanta minuti, ad un saluto finale al tuo corpo mortale; ancora meglio è considerabile quale abisso in forma sonora. Riuscire nell’ingrato compito di non stancare e bramare un’altro ascolto con note lente, sofferte e claustrofobie qui presenti è genio allo stato puro; migliorare se stessi senza avere mille intrecci compositivi al proprio arco per ampliare lo spettro dell’eco che assorbe e travolge. Una voce catacombale che come un ipotetico  messia ti indica la strada verso l’apocalisse, accompagnata da una produzione organica e più che mai aperta ad ogni interpretazione ci amplifica il rumore del male; cori e suoni dall’aldilà che ci indirizzano lentamente verso il patibolo ansimanti e sudati. Parlare di tecnicismi, di paragoni verso il passato o concentrarsi sull’evoluzione della band non ha senso, risulta pressoché impensabile essendo questo niente di più che il sunto di una storia iniziata dieci anni addietro e portata avanti oggi con gas nervino nelle vene. Il funeral doom è questo, il 2015 ha avuto alti standard musicali all’interno di questo specifico sottogenere, senza mai fortunatamente toccare il fondo lanciando scampo a qualche via d’uscita; è attraverso i Tyranny, e solamente attraverso loro che purtroppo abbiamo raggiunto la base dell’oscurità più nera schiaccianoci la faccia nelle acque dello Stige.

 

Non v’è nulla da spiegare, nulla da offrire, niente su cui porre osservazioni ulteriori perché è il silenzio che regna sovrano, il silenzio che inghiotte e ti apre in due lasciando lacrime e polvere che rimane lì, immobile e distaccato mentre ti guarda dall’alto al basso. Aeons in Tectonic Interment è il disco funeral doom per eccellenza di quest’anno; non importa sia migliore o peggiore a livello sentimentale-tecnico-compositivo di altri, sarà da qui in avanti ricordato per sempre come l’unico disco che sia stato in grado di far comprendere quanto in profondità l’odio, la disperazione, il rigetto verso l’umanità e la desolazione dell’anima possano toccare livelli di assoluta cancerogena perfezione. Da subire senza via scampo.

 

“La creatività, come la vita umana stessa, comincia nell’oscurità.

(Julia Margaret Cameron)

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