Recensione: Afterglow

Di Daniele D'Adamo - 26 Maggio 2016 - 20:09
Afterglow
Band: In Mourning
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Giunti al quarto album in studio, “Afterglow”, gli svedesi In Mourning proseguono il loro viaggio fra i flutti degli oceani, bivaccando in qualche faro sparso e solitario in mezzo al mare. Respirando salsedine, accartocciandosi la pelle sotto i raggi del Sole allo Zenit, dormendo sull’umida battigia d’isole lontane.

Così, allontanandosi dalle lande dello swedish death metal per avvicinarsi a quello delle terre finlandesi, ove il death stesso assume contorni più sfumati, meno intensi, più introspettivi e maggiormente deputati alla riflessione e alla mediazione. Invece che alla ricerca del sangue, alla violenza, all’aggressività. Tanto da far comunella, se così si può dire, a gente del calibro di Insomnium e Omnium Gatherum, per dirne due (non) a caso.

Gli In Mourning, durante questo percorso di avvicinamento al cuore della musica, hanno ovviamente badato con la massima attenzione al songwriting, alla sua qualità, alla costruzione di melodie accuratamente allineate come le briciole di pane di Pollicino. Per non perdere la strada maestra. Cioè, per non cadere nella trappola del caos da iper-potenza.

A onore del vero, i Nostri non sono mai stati dei campioni di estremismo sonoro, tuttavia appare chiaro, in “Afterglow”, la volontà di diversificare il proprio modus compositivo riducendo parecchio le distanze dal progressive (‘Ashen Crown’, ‘The Lighthouse Keeper’). In tali occasioni, però, la tendenza a diventare macchinosi e poco spontanei è pericolosa vicina, e allontana con decisione Tobias Netzell e i suoi dalla loro vena artistica istintiva, primigenia, arcaica nel loro DNA da discendenti dei vichinghi. Una vena che consente il deflusso più di emozioni, che di tecnica.

E, difatti, immergendosi nelle suite emozionali come la trasognante, splendida ‘Below Rise to the Above’, fuoriescono, a fiotti, i dolci, morbidi, delicati languori che appannano l’anima di fronte ai colori del tramonto boreale, che inducono le ghiandole lacrimali a produrre quel velo di liquido che deforma la vista. Lacrime salate. Salate come il mare.

Il quintetto di Falun, in “Afterglow”, lascia intravedere con chiarezza una grande potenzialità di scrittura, evidente nella già citata ‘Below Rise to the Above’, ove il growling dello stesso Netzell è il comandante della nave che solca con sicurezza i marosi, è il condottiero che resiste alle tempeste perfette per condurre il suo bastimento al sicuro, in qualche porto sperduto chissà dove.

Perché è così, che è il sound degli In Mourning: rassicurante, forte, protettivo. Perfettamente formato in ogni suo dettaglio. Adulto, significativo di un proprio marchio di fabbrica timbrato a fuoco sul fasciame della loro imbarcazione da viaggio perpetuo. Esattamente come quello di ‘The Call to Orion’. A parere di chi scrive, la loro canzone: movimentata, mai scontata, ritmata con vigore, pregna di pathos sino a travalicare le vette del mito, trapassata da un mood meravigliosamente nostalgico, melanconico.

“Afterglow” è un’opera di transizione, giacché lascia intendere che la via definitiva, quella del non-ritorno, è già stata imboccata, dagli In Mournig. Occorre, ancora, scrutare nel sestante per cercare e quindi trovare la direzione migliore possibile, per le loro corde musicali.

Corde di nobile manifattura. Corde spesse. Corde… dalla lunghezza infinita.

Daniele D’Adamo

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