Recensione: Agortas

Di Beppe Diana - 22 Aprile 2002 - 0:00
Agortas
Band: Saratoga
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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85

Molti giornalisti di settore, nonché qualche sapientone discografico dell’ultima ora, attribuisce il boom della rinata scena spagnola all’avvento dei Tierra Santa, che, è bene ribadirlo, con un sound che richiama fortemente i Maiden del periodo mezzano (Number of the beast, Powerslave), hanno riscosso sempre più proseliti in ogni angolo del globo, già a partire dal loro primo album “Medieval”. Ma come capita sempre più di sovente, tutti fanno in fretta a dimenticarsi dei meriti e degli onori di chi per prima ha avuto il coraggio e l’orgoglio di saper rompere gli indugi, e forti di un sound ed una giusta attitudine, ha saputo spianare la strada a chi in seguito ha avuto vita facile nel poter gestire un’audience preparata, sempre più vasta ed esigente. La band di cui sto parlando sono i Saratoga, combo madrileno artefice qualche anno fa di un capolavoro dal titolo “Viento de guerra”, e che con il suddetto “Agortas” arriva a varcare la soglia del sesto platter, in appena otto anni di attività musicale. La formazione iberica si presenta al pubblico come il classico quartetto guidato dal granitico Leo “la bestia ” Cabal, di sicuro uno dei singer vocalmente più dotati della scena metal del suo paese, una specie di Folco Orlandini spagnolo, e si rende artefice di un classic/power metal di tipica impostazione germanica che alterna stilettate metalliche, a parti più ariose e “scanzonate” come in un ipotetico mix fra i Rage, quelli più thrasharoli di “Black in mind”, e i gloriosi Heavens Gate. Una band dunque, che a livello sonoro non è mai scesa a compromessi con nessuno, tenendosi ben distante dalle facili melodie e dai brani che alternano strofa/coro/strofa, restando magari all’ombra dei grandi nomi, ma riuscendo altresì a perseguire un proprio ideale musicale che li ha portati nei cuori di chi dalla musica cerca più di quattro note scopiazzate e buttate li a casaccio. Anche per questo che un altro punto focale su cui si basa il suono dei Saratoga, è senz’altro il chitarrista Jeronimo Ramino, che oltre a ricoprire l’importante ruolo di principale song wtriter, con il suo personale stile chitarristico riesce snocciolare un numero impressionante di riffs assassini, come nel caso di “A morir”, tremendo headbanding sulla scia del Prete di Giuda di “Painkiller”, giuro che il giro armonico portante è identico, oppure “Rompehuesos” speed power metal d’alta fattura domianto da un poderoso drumming sul quale si scaglia con ferocia il guitar working del valido axeman sempre più sugli scudi. Come capita di sovente nei dischi delle band spagnole, il momento clou è naturalmente rappresentato dalla ballad di turno e anche i Saratoga dimostrano di saperci fare con le atmosfere delicate e quasi dilatate, quindi “Parte de mi” è semplicemente splendida e avvolgente nel suo incedere quasi sognante, tanto che l’album potrebbe pure chiudersi qui, ed invece ci pensa la dinamica “Viaje de mente” a riportarci su adeguati binari sonori metallici, e lo stesso si può dire con la tellurica mercenario. Forse i Saratoga saranno usciti pure in anticipo rispetto al boom di cui parlavamo prima, ma credetemi quando vi dico che ci troviamo di fronte ad una delle migliori realtà europee in campo classic metal, come si dice in questo caso : “buy or die”.

Beppe “HM” Diana

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