Recensione: Al Azif

Di Daniele D'Adamo - 25 Gennaio 2016 - 21:12
Al Azif
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2012
Nazione:
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82

«La città-cadavere, da incubo, chiamata R’lyeh… fu costruita incalcolabili eoni prima della storia conosciuta, da enormi, ripugnanti forme che gocciolarono dalle stelle oscure. Ivi si stabilirono il grande Cthulhu e le sue orde, nascosti in verdi, limacciosi sotterranei…»

Due anni prima dello straordinario “Tekeli-Li” (2014), i francesi The Great Old Ones debuttano con “Al Azif”, capostipite di un genere denominato, dall’eccezionale label connazionale Les Acteurs De L’Ombre Productions, lovecraftian black metal. Un battesimo dovuto principalmente ai temi trattati dal quintetto (a tre chitarre) di Bordeaux, devoti unicamente al grande scrittore di Providence. 

“Al Azif”, peraltro, coincidente con prima uscita assoluta in ordine di tempo da parte dei transalpini, nati nel 2009 ma che solo nel 2011 hanno trovato la quadra con una formazione ricca di esperienza e  personalità: Jeff Grimal, voce e chitarra (ex-Absurd, ex-Tormenta, ex-Elusiv, ex-Hallucinex 23, ex-La Libido Du Totem, ex-Let Jesus Bleed); Benjamin Guerry, voce e chitarra (Day Of The Fisherman); Xavier Godart, chitarra (I Take This Way); Sébastien Lalanne, basso (ex-My Sovereign) e Léo Isnard, batteria (Atrox Animus, We All Die (Laughing) (live), Hybrid Syndicate, Massada, Tozai X3).

Tanto è vero che, a dispetto della circostanza che sia un’Opera Prima, il platter definisce perfettamente e profondamente le coordinate stilistiche, uniche, dei The Great Old Ones. Per ciò dotati di un talento naturale enorme che, assieme all’adeguata capacità tecnica e alla lunga esperienza in materia, ne fanno uno dei migliori act se non il migliore della nouvelle vague del black metal transalpino. 

Per divenire tutt’uno con l’incredibile visionarietà dei The Great Old Ones basta poco. Per esempio la superba “Visions Of R’lyeh”, vero e proprio allucinogeno a base di… musica e basta. Via via che la song procede nel suo cammino, le tre asce erigono una fittissima cortina fumogena, spessa e grigia, dalla quale, in alto, si possono intravedere i mostruosi, blasfemi pennacchi della Città Perduta dalle linee impossibili, non-euclidee. Le roche urla della coppia Grimal/Guerry paiono avvisare l’Umanità intera del pericolo incombente, disperate nel loro cozzare contro  l’indifferenza e l’ignavia del genere umano stesso, inconsapevole vittima sacrificale di Chtulhu e di coloro che lui devotamente serve. Assai ricca di personalità, anche, la sezione ritmica, con Isnard che si rivela un batterista ricchissimo di feeling. Un tocco speciale che dà quel qualcosa in più alla band, sia nei momenti doomy, sia nelle iperboliche accelerazioni dei blast-beats.

A questo punto diventa quasi superfluo rimarcare l’ottima capacità compositiva dei Nostri, in grado di sciorinare con naturalezza e immediatezza canzoni che, presa una per una, altro non sono che delle singole suite. In ciascuna, si può seguire un percorso narrativo a sé stante, con i propri elementi armonici che l’identificano definitivamente. Percorso che, tuttavia, precede e segue quello degli altri brani, sì da formare un insieme tanto variegato quanto compatto. Che, in modo poetico, trova i suo acme nell’incommensurabile “My Love For The Stars (Cthulhu Fhtagn)”, trascendente lo spazio e il tempo per connettersi a coloro che, fra una stella e l’altra, dormono silenti, in attesa del risveglio di Cthulhu. L’epicità di tale brano è spinta ai più alti livelli di sublimazione possibile, sfiorando l’inarrivabile “Raunioilla” di “Kivenkantaja” (2003) dei Moonsörrow. Contesti diversi, certo, ma risultato identico: la materializzazione dei sogni più dolci e, allo stesso tempo, più orridi e inquietanti.

Con una Prima come “Al Azif” sarebbe stato impossibile un fallimento per il suo successore “Tekeli-Li” che, difatti, altro non è che un gran passo in avanti verso l’appuntamento con Loro, i Grandi Antichi.

«Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn»

 

Daniele D’Adamo

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