Recensione: All Gods Are Gone

Di Massimo Ecchili - 25 Gennaio 2011 - 0:00
All Gods Are Gone
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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83

Arrivano dalla terra degli orologi e della cioccolata questi Appearance Of Nothing e, nonostante la banalità della contestualizzazione geografica, banali non sono. La grande influenza derivante dalla musica dei Symphony X, presente in All Gods Are Gone tanto quanto nel debutto intitolato Wasted Time del 2008, non ne pregiudica la riuscita. Gli svizzeri fanno propri, variano, cesellano gli insegnamenti dell’illustre quintetto statunitense, riuscendo in maniera coinvolgente e con risultati di indubbio spessore a crearsi una propria nicchia nel panorama prog/power e, più in generale, prog metal. Forti di un’ottima preparazione tecnica, dimostrano ampiamente di non volersi accontentare del fumo negli occhi che potrebbero elargire esclusivamente con essa, lasciando trasparire tra i solchi di questa nuova release una cura sopra la media nel songwriting. Nel risultato finale gioca un ruolo nient’affatto di secondo piano la pregevole produzione di Markus Teske (Vanden Plas, Symphony X): potente, pulita e moderna quanto basta.

Il disco si apre con un impressionante muro sonoro costituito da una sezione ritmica martellante, riff chitarristici poderosi e l’apporto fondamentale alle tastiere di Petralito, che per tutta la durata dell’album dimostrerà di essere in grado di unire scelte di suoni sempre azzeccate a ottima tecnica e costante ispirazione. The Mirror’s Eyes è un assalto sonoro in piena regola, capace di stordire sin dall’inizio. Pregevole il contributo di Dan Swanö (ex Edge of Sanity, Nightingale), gradito ospite degli svizzeri addirittura in tre brani. La presenza del suo growl è ancor più importante in 2nd God, pezzo in grado di far affiorare echi melodici di Vanden Plas uniti ad un dinamismo di eccellente fattura. Un gran bel lavoro d’insieme, nel quale però spicca una prestazione di Cuna al basso letteralmente da applausi. Sweet Enemy, tra le migliori di All Gods Are Gone, vede la presenza di un altro ospite illustre dietro al microfono: trattasi di Devon Graves (Psychotic Waltz, Deadsoul Tribe, The Shadow Theory) che fornisce l’ennesima prestazione eccellente della sua carriera, raggiungendo come sempre vette espressive ai più irraggiungibili.
Scorre bene la tracklist, così come scorre bene Destination, traccia più lunga dell’album, nella quale cantano Gerber e Cuna per la prima volta dall’inizio senza ospiti. A catturare è soprattutto l’azzeccata linea vocale del chorus, mentre in quest’occasione il riffing non fa certo gridare al miracolo. Una delle particolarità di All Gods Are Gone consiste nel fatto che nemmeno in pezzi lunghi come questo (oltre nove minuti di durata) le parti strumentali si riducano in infiniti assoli, puntando molto di più all’economia strutturale dei brani; in parole povere l’autoindulgenza non trova qui dimora. Trova invece ampio spazio un eclettismo che consente ai nostri di piazzare un intro da house music ad aprire The Call of Eve, una prog/power song per il resto non proprio memorabile.
La migliore del lotto è senza ombra di dubbio …I said Silence, nella quale riappare, per l’ultima volta, Swanö. Ottimamente strutturata, riesce a fondere sfuriate in stile thrash, un superbo break piano/voce, un ritornello catchy e pregevoli orchestrazioni. Chiude la strumentale The Rise and Fall of Nothing, nella quale si distingono Berger e Petralito, mentre Lüthi si destreggia addirittura in un breve blast beat.

All Gods Are Gone è, a conti fatti, un lavoro di pregevole fattura; decisamente più aggressivo e dalle sonorità più moderne rispetto al predecessore, si distingue da quest’ultimo anche per una maggiore cura per gli arrangiamenti e per un songwriting meticoloso, capace di accostare diversi elementi senza che questi appaiano mai fuori luogo. La varietà di voci, costituita da Gerber e Cuna, ma anche dagli ospiti Swanö e Graves, non fa che arricchire il già pregevole lavoro degli strumenti, rivelandosi una scelta assolutamente azzeccata. L’unico aspetto a non convincere appieno è lo stile troppo legato al power di Yves Lüthi, ma il fatto non pregiudica quanto di buono All Gods Are Gone ha da offrire.
Promossi a pieni voti alla pur sempre difficile prova del secondo album, quindi, gli svizzeri Appearance Of Nothing lasciano intendere di avere ancora margini di crescita. In attesa dunque del capolavoro che è alla loro portata, non resta che godersi All Gods Are Gone, che, tutto sommato,  merita di essere ascoltato a lungo.

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Tracklist:
01. The Mirror’s Eyes 6.03
02. 2nd God  6.18
03. Sweet Enemy   9.00
04. Destination  9.10
05. The Call of Eve  5.17
06. …I said Silence  7.31
07. The Rise and Fall of Nothing  4.56

Line-up:
Pat Gerber: vocals/guitar
Omar Cuna: vocals/bass
Peter Berger: lead guitar
Marc Petralito: keyboards
Yves Lüthi: drums

Special guests:
Dan Swanö: death vocals on The Mirror’s Eyes, 2nd God and …I said Silence and
Devon Graves: lead vocals on Sweet Enemy

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