Recensione: All Hail

Di Federico Mahmoud - 5 Febbraio 2008 - 0:00
All Hail
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Genere:
Anno: 2007
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70

Attivi dal 1999, i canadesi Kill Cheerleader (ex Cheerleader 666) sono indicati come un’isola felice nel circuito rock di Toronto, monopolio dei ribattezzati gruppi “emo”. In barba all’ostracismo mediatico che in patria ne frena l’ascesa – culminato nella clamorosa espulsione da vari club – i quattro (ora cinque) ribelli sono rapidamente assurti a fenomeno underground internazionale, anche in virtù del lusinghiero appoggio di alcune celebrità: per fare due nomi, l’eterno Ian “Lemmy” Kilmister ha definito i Kill Cheerleader “la più grande rock ‘n’ roll band dai tempi dei Guns N’ Roses”, mentre Nikky Sixx ne ha tessuto le lodi sul sito ufficiale dei padrini Mötley Crüe. Legati da un sentimento di passione reciproca per Los Angeles, che ha riservato ben altro trattamento alle infuocate esibizioni del gruppo, i Nostri sono giunti con All Hail al sudato esordio, non prima di aver venduto demo-tape in quantità industriali.

All Hail, originariamente inciso nel 2004, è disponibile in Europa dalla primavera del 2007, grazie all’interessamento di Sanctuary Records. L’album è un concentrato di punk ‘n’ roll senza freni, che individua in Guns N’ Roses, Ramones, The Stooges e nei già citati Mötley Crüe e Motörhead le influenze principali; zero concessioni a flavour moderni e contaminazioni improbabili, solo una mezz’ora abbondante a base di rock stradaiolo e strafottente. Il risultato diverte e, pur non inventando nulla, piacerà ai cultori del genere, alla ricerca di una colonna sonora elettrizzante per un party alcolico: Deathboy (con un ritornello che cita, non troppo involontariamente, i fondamentali W.A.S.P.), la scoppiettante Sell Your Soul e Want Action, dalla spiccata anima sleazy, faranno scuotere la testa e non solo. Non manca all’appuntamento la classica ballad corale, qui rappresentata da No Lullabies, quasi una Patience dei nostri giorni.

Trascinati dall’ugola al vetriolo di Ethan Deth, i Kill Cheerleader confezionano un debutto irriverente, privo di orpelli (la base musicale è piuttosto elementare) ma dall’appeal contagioso, che non mancherà di girare a lungo nello stereo. Per il capolavoro preannunciato non c’è fretta, nel frattempo godiamoci un tributo alla sincerità del rock ‘n’ roll più sanguigno, che non passa mai di moda e continua a ruggire imperterrito, dalla Scandinavia al Canada.

Federico Mahmoud

Tracklist:
01 Sell Your Soul
02 So Young
03 Deathboy
04 Lady Of The Night
05 No Feelings
06 Go Away
07 Find Your Own Way Home
08 Want Action
09 Don’t Call Me “Baby”, Baby
10 Bad Habit
11 No Lullabies
12 Hurt The People You Love

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