Recensione: All Is Dust

Di Daniele D'Adamo - 29 Ottobre 2007 - 0:00
All Is Dust
Band: Icewind
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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77

Gli Icewind, di origine canadese, sono un gruppo di Power melodico apparso sulla scena internazionale da poco tempo. Dopo aver auto-prodotto il demo Inner Storm nel 2005, nell’anno successivo hanno dato alle stampe il loro full-lenght d’esordio, All Is Dust, prodotto dalla band stessa assieme a Didier Chesneau. La line-up con la quale è stato inciso il disco è la seguente: Gabriel Langelier (Vocals), Jay Ménard (Guitars), Vincent Poliquin (Guitars), Dryss Boulmédaïs (Bass), Steve Gemme (Keyboards) ed Alex Dubé (Drums). Da aggiungere inoltre il contributo dato dagli “Extravaganza”, condotti da François Monette (Epic Choirs) e dagli  “Manécanteria Harmonia Mundi”, condotti da Margo Valade-Beaudet (Children Choirs).

Lo stile dell’album è inequivocabile: Power contaminato da forti componenti melodiche, comunque mai eccessivamente sdolcinate, presenti costantemente lungo tutto il percorso musicale compiuto dalle tracce del platter. Strana l’antitesi fra il calore del groove, che si percepisce marcatamente durante l’ascolto dell’album, ed il luogo di provenienza del gruppo, caratterizzato da un clima assai rigido e freddo.

Ed il platter stesso, dopo un breve, atipico e triste gelido brano di introduzione (A Breeze Of Hope), inizia il suo viaggio con Winter Heaven, dove la melodia la fa da padrone in tutte le varie parti che compongono la canzone stessa: introduzione, strofa, pre-chorus e ritornello sono tutti velati dalla forte componente melodiosa del gruppo. Già il riff iniziale, potente ed armonico, introduce una bellissima strofa cantata con grande emotività da  Gabriel Langelier, così come nel ritornello a seguire, coadiuvato da cori di ampio respiro e dalla componente decisamente sinfonica. Delicati e adeguati al tono della canzone, i soli di chitarra di Jay Ménard e Vincent Poliquin, che si rincorrono allegramente in un gioco di alternanza e sovrapposizione. Notevole anche melodico il break centrale, sempre impreziosito da cori ariosi, dove Gabriel alza i toni del cantato, raggiungendo con naturalezza vette decisamente alte di tonalità vocali. Il groove caldo e delicato del disco, prosegue con Walking Alone, dal percorso piuttosto accidentato, ma sempre armonico e sempre velato di quell’alone di languida melanconia che pervade molte delle composizioni del disco stesso. Con Follow The Wind, il tono generale si solleva un po’ verso un sound più duro e roccioso, veloce e potente, ma comunque sempre attenuato dalle delicate ed armoniche linee vocali interpretate da Gabriel, in ciò sempre supportato dagli onnipresenti cori in sottofondo. Notevole per drammaticità l’orchestrazione finale della canzone, coadiuvata da gran lavoro di riffing delle chitarre. All Is Dust, la title track, inizia con uno stupendo duetto fra tastiere e chitarra classica, dal risultato morbidamente languido, per poi proseguire con un ritmo lento e rallentato nella stupenda strofa, di sapore antico ed introspettivo. Poi la sezione ritmica, improvvisamente, alza il tiro, per condurre con mano ferma la canzone verso la parte centrale, nobilitata da un grande ritornello, arioso, dolcissimo e tale da far sognare chi ascolta di volare su di un immaginario paesaggio caldo e rassicurante. Molto presenti le tastiere, che contribuiscono a riempire il groove del brano, su cui poi volano veloci i soli di chitarra, sempre costantemente suadenti nella ricerca della massima melodicità e profondità emotiva. Con Washed Away, dall’introduzione al pianoforte, ci si trova innanzi al primo (ed unico) lento del platter, dallo stile compositivo classico, nobilitato anche in questo caso dall’interpretazione molto calda e sentita di Gabriel, che si trova perfettamente a suo agio ad esprimersi su una base di solo pianoforte. Come spesso accade nel genere, la canzone “esplode” con l’ausilio della strumentazione elettrica, mantenendo tuttavia sempre lo stesso filo conduttore e tono intimista. Dopo, è il turno di No Other Way, stavolta dal piglio ferocemente Power, con grande rilevanza della parte ritmica a doppia cassa, ben suonata con linearità e pulizia da Alex Dubé, ma sempre incastonata in grandi linee di tastiere e, come sempre, gratificata dall’interpretazione sempre armonica e palpitante di Gabriel, sempre a suo agio sia nelle parti lente, che in quelle veloci. Sempre bellissimi, per grazia e leggiadria, le pari di pre-chorus e chorus delle canzoni, che anche in questo caso non esulano dal contesto appena descritto. Come sempre, diamantine cascate di note di chitarra solista ricoprono la base sottostante, generando una sensazione di sfavillante brillantezza. Con Inner Storm, ottava canzone dell’album, si risentono i sibili di gelidi venti delle foreste canadesi in sottofondo, subito spazzati via da una poderosa e massiccia parte strumentale completata da tutti gli strumenti, compreso cori ed orchestrazioni, che generano, stavolta, immaginarie visioni di rilassanti e rassicuranti di alte montagne innevate. Un dolce break centrale, di chitarra classica e tastiera, spezza la ritmicità del brano, forse per costringere l’ascoltatore a meditare su quanto sino ad ora ascoltato. Con Premonitions, il tono si fa nuovamente lento e fortemente intimista, grazie all’introduzione al piano classico e tastiere. Poi, la canzone esplode in tutta la sua potenza e straordinaria melodicità, supportata da una precisa batteria a doppia cassa. Stupenda la strofa (in genere la parte della canzone meno “curata”) per originalità e dirompenza, addirittura migliore dei successivi refrain. Chiude degnamente l’album Trapped In A Dream, dal ritmo sostenuto e vagamente dissonante, sempre srotolato su un compatto  tappeto ritmico tessuto dalle pelli di Alex e dal basso di Dryss Boulmédaïs. Sempre da ascoltare con cura e piacere tutta la canzone, classicamente (per il gruppo) melodica in tutte le sue parti.

Un esordio coi fiocchi, a parere di chi scrive, in quanto la componente Power è stata diluita sapientemente ed in modo originale con una decisa componente melodica, ma mai senza oltrepassare il cattivo gusto derivante da eventuali eccessi in ciò. Stupendi i cori che potenziano ed impreziosiscono tutto il disco e, non ultima, la calda, melodica, sentita, profonda interpretazione vocale di Gabriel Langelier. Unico appunto, un songwriting ancora leggermente acerbo, ed in certi momenti un po’ confuso. Ma trattasi, a parere dello scrivente, di solo peccati veniali di gioventù: la classe c’è, e si tratterebbe solo di migliorare una base già di alto livello artistico, in ultima sostanza.

Daniele D’Adamo

Tracklist:
1 – A Breeze Of Hope
2 – Winter Heaven
3 – Walking Alone
4 – Follow The Wind
5 – All Is Dust
6 – Washed Away
7 – No Other Way
8 – Inner Storm
9 – Premonitions
10 – Trapped In A Dream

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