Recensione: All Our Gods Have Abandoned Us

Di Stefano Burini - 17 Settembre 2016 - 11:00
All Our Gods Have Abandoned Us
Band: Architects
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Il melodic metalcore è un genere che vive di contraddizioni e gli Architects, pur non potendo essere annoverati tra i prime mover né tantomeno tra gli interpreti più originali della scena, hanno offerto negli anni una delle sintesi più laceranti tra le due anime che ne costituiscono la base stilistica e contenutistica.

In tal senso, sin dai primi istanti dell’opener “Nihilist” il nuovo album degli Architects – dall’emblematico titolo “All Our Gods Have Abandoned Us” – manifesta in maniera chiara e inequivocabile l’intento di spingere ancora più in là il contrasto tra violenza e melodia, probabilmente trascinato dal dramma della malattia che poche settimane or sono ha avuto la meglio su Tom Searle, chitarrista, fondatore nonché principale compositore della band inglese.

Le chitarre, in effetti, schizzano – più che dipingere – atmosfere tese ed oscure senza soluzione di continuità lungo tutto la tracklist, concentrandosi su ritmiche accelerate e martellanti, intervallate da inchiodate assassine e punteggiate qua e là da rifiniture elettroniche per nulla casuali; su tale impalcatura sonora svetta poi la voce di Sam Carter, in grado di emozionare e a tratti commuovere in virtù di una prova davvero sentita dal punto di vista emotivo.

Brani come “Deathwish” e “Phantom Fear”, pur rientrando nelle definizioni poc’anzi tracciate, scorrono senza lasciare in realtà particolari segni ma è con le strazianti “Downfall” e “Gone With The Wind” che il mood del nuovo parto di casa Architects trova definitivo compimento. I riff pestano infatti durissimo, ben assecondati dall’energico lavoro di basso e batteria, lasciando alla già lodata ugola di Sam Carter il compito di tagliare, graffiare, lacerare carni, timpani e cuore per poi offrire conforto al riparo di melodie ammantate di una tristezza leggiadra quanto fatalista.

Intendiamoci: la ricetta degli Architects, giunti al settimo album in studio, è nota e ormai collaudata: inutile attendersi stravolgimenti di sorta da parte di “All Our Gods Have Abandoned Us”, un album nel quale più che l’originalità e l‘innovazione contano i sentimenti e le emozioni che traspaiono vividi da brani semplicemente ispirati e a loro modo lirici come “A Match Made In Heaven”, “The Empty Hourglass” e “From The Wilderness”.

La morte di Tom Searle ha lasciato un vuoto forse incolmabile in seno alla band – parole del fratello Dan, batterista del combo britannico, all’indomani del tragico evento – ma a fronte di un futuro incerto occorre dire che “All Our Gods Have Abandoned Us” si colloca una spanna al di sopra di “The Here And Now” e di “Lost Forever//Lost Together” configurandosi con tutta probabilità come il migliore tra gli album targati Architects pubblicati dopo la svolta melodica d’inizio decennio.

Stefano Burini

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