Recensione: An Alignment Of Dead Stars

Di Alessandro Cuoghi - 23 Agosto 2010 - 0:00
An Alignment Of Dead Stars

Non sempre, purtroppo, una capacità produttiva decisamente fuori dal comune ed una qualità media che viaggia dal discreto al buono, bastano a ritagliarsi l’attenzione meritata e ad emergere dai profondi abissi dell’underground.
Questo, finora, è stato l’amaro destino (auto-inflittosi o meno, non è dato saperlo), di Azgorh, classe 1984 e unico componente fisso della one man band australiana Drowning The Light.

Come accennato, la capacità di comporre e pubblicare dischi posseduta da questo giovane virgulto del Black Metal pare decisamente fuori dall’ordinario. Per dare un’idea della mole di lavoro prodotta in “appena” sette anni di attività della band sappiate che, in data odierna, i Drowning The Light hanno all’attivo la bellezza di quarantatre uscite complessive, di cui dieci full lenght, quindici demo, quattro EP, dodici split, e ben due raccolte.

Impossibile da valutare in toto, tale immensa discografia, aperta nel 2003 con la pubblicazione di quattro demo ed un precoce best of, sembra aver toccato il proprio picco di frenesia nel 2007 mediante l’uscita di ben quattro full lenght, tre demo e tre split.

Quello che ci accingiamo ad analizzare in questa sede è l’ultimo album della band sulla lunga distanza, uscito per Avantgarde nel 2009, che, per la cronaca, è già stato seguito da un Ep, due split ed un’altra demo, tanto per non smentirsi.

Da un punto di vista strettamente musicale questo “An Alignment Of Dead Stars“, alla cui realizzazione hanno collaborato anche il bassista Blackheart ed il polistrumentista Wraith, si muove sulle coordinate basilari del Raw e del Depressive Black Metal, dosate in modo pressoché alchemico al fine di creare un prodotto vario e compatto al tempo stesso.
Non vengono disdegnati inoltre alcuni innesti pseudo-Punk, principalmente nel brano “Drinking The Sacrament Of Eternity (Revenge Of The Impaler)“, che si rivelano scelta vincente, consegnandoci uno tra gli episodi più riusciti del lotto.
Le influenze musicali e liriche più evidentemente riscontrabili nel lavoro sono chiaramente riconducibili ad act storici della scena, tra cui i già citati Darkthrone (vecchi e nuovi), Burzum, Horna ed i compaesani Abyssic Hate.

Tematiche basate su occultismo, vampirismo, depressione ed oscurità sembrano essere il pane quotidiano del giovane e ormai rodato talento, che snocciola testi piuttosto triti ma capaci di farsi comunque apprezzare, tralasciando alcuni eccessi di zelo anticristiano piuttosto pacchiani, grazie ad una buona capacità di stesura.
L’artwork, di sicuro impatto e debitore della classica scuola Darkthrone, raffigura l’artista in bianco e nero su un oscuro sfondo silvano, manifestando distintamente la pura dedizione al genere ed un chiaro slancio identificativo verso l’iconografia più cara al Raw Black Metal.
Una produzione più curata e meno ovattata rispetto ai precedenti lavori, riesce infine rendere il sound della band maggiormente comprensibile, nonostante il palm muting venga evitato come la peste al fine di creare un suono più sporco e frusciante, come da tradizione.

Il disco, composto da quattordici tracce di cui quattro stacchi strumentali, si apre con “Distant Autumn Rain“, soave e malinconica intro di chiara impronta Ambient, costituita principalmente da uno scarno, flebile arpeggio di chitarra e da un sottile rumore di pioggia in lontananza. A fare da contraltare a tale sommessa e timida introduzione, segue a ruota il primo, ottimo episodio dell’album: “The Cult Of Shadows“, ove chitarre affilate come rasoi incidono riff crepitanti ed una voce drammaticamente alta narra la venuta di un nuovo mondo della notte, dove la natura si tinge di nero e la cristianità è solo un ricordo. Come dicevo, nonostante un livello compositivo assestato su un livello piuttosto alto, le lyrics a volte scivolano sul pacchiano andante, con una tonalità di infanzia repressa e voglia adolescenziale di ribellione.

Proseguendo con l’ascolto si assiste comunque al susseguirsi di episodi di buona caratura, stacchi atmosferici ponderati ed alcuni brani che, con onestà, si assestano sulla sufficienza stiracchiata, non togliendo o aggiungendo valore al lavoro.
L’impressione generale è che Azgorh riversi su disco ogni cosa gli salti in mente. Fortunatamente per lui e per le orecchie dei possibili fruitori dei suoi numerosi lavori, pare che finora la maggior parte di queste idee siano assestate sul livelli più che sufficienti.
La capacità di introdurre anche una discreta linea melodica alle composizioni conferisce al prodotto una buona capacità di imprimersi nella mente, senza cadere nel dimenticatoio dopo pochi ascolti.
Proprio questa vena melodica contraddistingue uno fra i migliori brani del disco, il già citato “Drinking The Sacrament Of Eternity (Revenge Of The Impaler)”, a tema vampirico ed introdotto da un giro di basso Punk, quasi allegro, supportato repentinamente dall’ingresso di fruscianti chitarre Black, che per l’occasione vengono piegate, volenti o nolenti, ad un genere estraneo, con un risultato tuttavia decisamente azzeccato ed appetibile.
A seguire troviamo altra carne al fuoco, tra cui “Dragged To An Ocean Grave” ed “In A Time Of Honour“, songs dalle tinte marcatamente Depressive, dove assistiamo al malinconico fluire di chitarre distorte accompagnate dalla voce straziata del singer.
Ultimo vero brano del disco è l’ottimo e riassuntivo “VAMPYRE (The Broken Dirge Of Aristocracy)“, pezzo caratterizzato dalla commistione di tutti gli ingredienti già citati in precedenza, bilanciati alla pari, capace di alternare esplosioni di furia cieca, arpeggi e parti Depressive in pieno stile Vikerness.
La porta d’accesso al mondo esterno è costituita dall’outro “Nocturne Batracien“, che attraverso note soavi e risolutive accompagna l’ascoltatore verso il termine del disco.

Dopo numerosi ascolti l’impressione definitiva e quella di trovarsi di fronte ad un artista instancabile, che crede ciecamente in quello che fa, riuscendo a dar vita ad un lavoro finalmente maturo, ben prodotto e che, sebbene non aggiunga nulla di nuovo alla già ultra-satura scena Black Metal mondiale, farebbe l’invidia delle molte band ormai a corto di idee.
Nonostante i brani si assestino su livelli altalenanti, le vette di qualità toccate da numerosi episodi rimangono elevate, influenzando positivamente il risultato emozionale e musicale globale.
Le capacità espresse infine marchiano questo “An Alignment Of Dead Stars”, se non con l’etichetta di “must have”, quantomeno con quella di “dovuta e meritata alternativa” alle miriadi di dischi scialbi ed annacquati che escono oggigiorno.

Alessandro Cuoghi

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Line Up:

Azgorh: vocals, all instruments

additional members:
Wraith – bass
Blackheart – guitars, bass, drums

TRACKLIST:

1.  Distant Autumn Rain    
2.  The Cult of Shadows    
3.  An Alignment of Dead Stars    
4.  The Flame    
5.  Sound the Battle Horn    
6.  Drinking the Sacrament of Eternity (Revenge of the Impaler)
7.  A Call to Arms    
8.  Dragged to an Ocean Grave    
9.  Crippled Lies and a Fallen Prophet    
10. Gone…    
11. Drifting Away in a Sea of Sorrow    
12. In a Time of Honour    
13. Vampyre (The Broken Dirge of Aristocracy)    
14. Nocturne Batracien