Recensione: Anareta

Di Giuseppe Casafina - 26 Dicembre 2015 - 12:39
Anareta
Band: Horrendous
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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80

L’emozione tratta dall’infinita e sorprendente bellezza della novità è ancora qualcosa che si può pretendere  alle soglie del 2016: a volte si può incappare in perle incastonate tra qualche solco roccioso nascosto, musicalmente parlando, e gli Horrendous fanno tutt’oggi parte di questa sparuta serie di gioielli incastonati tra le sette note della natura.

Tale bellezza a volte ci coglie così impreparati da costringerci alla resa incondizionata di fronte allo stupore più puro: gli Horrendous giungono al terzo album con “Anareta” e lo fanno nel migliore dei modi, suggellando la via verso l’evoluzione più pura e ricercata di quel suono ancestrale così puro e catacombale, quel suono che tempo veniva chiamato Death Metal.

“Anareta” entra di diritto tra i Top Album dell’anno ancora in corso (sebbene agli sgoccioli) e lo fa con una prepotenza rara, stranamente di classe, eppure profondamente radicata alle più autentiche radici del Death: esattamente come il suono dell’album,  un Death Metal di livello impensabile, assurdo, schizzato, folle, realmente geniale ed ingegneristico senza però mai annoiare e risultare ridondante.

 

Già dalle prime note di “The Nihilist” si capisce che questo disco ha un qualcosa di speciale: le trame tessute dalle tre entità dell’ensemble (i fratelli Jamie e Matt Knox, rispettivamente batteria e voce/chitarra, più Damian Herring, seconda voce/chitarra) sono quanto di più pregevole possa esistere al giorno d’oggi con cambi di tempo mai scontati ed artificiosi che accompagnano riff che ora rimandano alla tradizione pluridecennale del death, per poi subito dopo evolversi in qualcosa che ricorda addirittura, per melodia ed enfasi, i Dream Theater!

Tale paragone va preso con le pinze, non intendo certo dire che di colpo abbiamo a che fare con un ‘capellone’ che imita spudoratamente il falsetto di LaBrie sotto un riff a ’la Petrucci mentre prima ruggiva come un ossesso sotto ondate di palm muting selvaggi, semmai che certi riff e certe atmosfere forgiate dalle estasi strumentali dei Nostri, ricordano non troppo alla rinfusa certe cose anche assai lontane dal Metallo Mortale, mantenendo sempre un legame con qualcosa in grado di donare loro una oscura patina, appunto tipica, del già citato Metallo Mortale.

Una citazione d’onore và al cantato in growl/scream dei Nostri, che è davvero quanto di più efficace ed azzeccato possa esistere per uno stile così elaborato ed originale: ogni fase del cantato (o meglio del ‘ruggito’, Nda) rispecchia un momento musicale particolare, nulla sembra mai lasciato al caso durante tutta la durata del disco e l’interpretazione regna sovrana.

 

Difficile scovare le singole influenze del suono Horrendous, siamo al cospetto di un’Opera Magna dove la fusione musicale attraversa ogni limite conosciuto e basti pensare ai cori urlati di “Ozymandias”, pezzo tra i migliori del disco, dove le effusioni melodiche portano questo disco verso lidi mai immaginabili, mentre i vari tecnicismi presenti qua e là nel brano arricchiscono i singoli passaggi senza appesantirli.

Vorrei descrivere, se solo potessi farlo, la bellezza di ogni singolo passaggio contenuto in ogni brano, perché tale è il modo migliore per far capire la reale immensità di lavori di questo calibro ma, ahinoi, lo spazio vitale è limitato per tutti e preferisco che a scoprire le infinite sfaccettature di questa opera siate voi in primis, perché di mio risulterei ridondante: non siamo ai piedi di un disco di facile assimilazione, per nulla, ma ha comunque un fascino sacrale, prepotente e sinuoso all’unisono, che prima o poi ti cattura trascinandosi appresso i complicati meandri del suo labirinto fatto di infinite suggestioni tra il sogno e l’incubo.

Un capolavoro dalla prima all’ultima nota che sfugge alle facili categorizzazioni, capace di sprigionare un’atmosfera armonicamente sulfurea e ricolma di pathos ora più doloroso, ora più sognante, il tutto nel segno del Death Metal dove tal segno non è la tappa, bensì il punto di partenza, un punto su cui rigorosamente forgiare un qualcosa di realmente sentito ed innovativo.

Gli Horrendous sono un nome su cui puntare per un futuro radioso.

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