Recensione: Ancient Winter

Di Stefano Usardi - 15 Novembre 2019 - 5:54
Ancient Winter
Band: Leah
Etichetta:
Genere: Vario 
Anno: 2019
Nazione:
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70

Esattamente lo scorso Novembre stavo scoprendo le doti di Leah, fascinosa cantante canadese, grazie al suo quarto album “The Quest”; oggi, a distanza di un anno esatto, sono qui per presentarvi il suo successore, “Ancient Winter”. Prima di entrare nel vivo mi si conceda una piccola critica visiva: ero rimasto così estasiato dallo spettacolare artwork del precedente lavoro della canadese, così evocativo e rilassante, che stavolta sono rimasto piuttosto deluso. Troppi orpelli appesantiscono la composizione, rendendo il paesaggio invernale ritratto fin troppo stereotipato e, ad essere maligni, anche un po’ pacchiano. Non si giudica un album dalla copertina, è chiaro, ma un buon biglietto da visita rappresenta il primo passo per immergere l’ascoltatore nel mood dell’album, e il primo approccio di questo “Ancient Winter” non è stato molto positivo. Ok, parentesi chiusa: torniamo a parlare di musica. Più volte definita come la “Enya del metal”, Leah non ha mai nascosto una certa vicinanza, almeno dal punto di vista concettuale, al lavoro della dama irlandese: il Celtic Fantasy Metal della business-woman canadese, infatti, ha riecheggiato spesso le suggestioni mistiche e le atmosfere al tempo stesso bucoliche e flautate che i fan di Enya si aspettano, e con quest’album il collegamento tra le due si fa ancor più immediato. Più o meno come fatto da Enya nel suo “And Winter Came…” del 2008, infatti, anche “Ancient Winter” nasce come album festivo, con l’obiettivo di catturare le atmosfere invernali condensandole in una mezz’oretta abbondante di musica. A ciò si aggiunga che anche la materia prettamente musicale si avvicina ulteriormente a quanto fatto dall’ex membro dei Clannad: abbandonate le orchestrazioni enfatiche e le atmosfere cinematografiche di “The Quest”, peraltro già abbastanza lontano – per via di un comparto metal piuttosto deficitario – dal symphonic metal a cui almeno nominalmente si associa la canadese, con “Ancient Winter” si passa a una proposta del tutto priva di elementi duri. Violini, arpe, flauti, ghironde e cori sostituiscono le chitarre, mescolandosi a partiture sinfoniche più intime e creando, in alcuni casi, un sottofondo vagamente in odore di new age. Melodie suadenti, raccolte ed introspettive dominano la scena, alternandosi a fraseggi dal retrogusto folk, guizzi esotici e fraseggi più briosi e frizzanti, mentre la sempre incantevole voce di Leah, vera padrona della scena pur senza essere asfissiante, ci guida in un viaggio intorno al mondo – in cui le atmosfere che costituiscono il marchio di fabbrica della cantante si mescolano a profumi esotici, mediorientali – per assaporare lo spirito più mistico dell’inverno in cui, giocoforza, non manca una certa componente natalizia.

Un arpeggio di archi prepara la strada a un’intro dal sapore Elfman-iano, salvo poi cedere posto alla suadente voce di Leah: “The Whole World Summons” incede lenta, romantica, sorretta da strumenti folk e un’atmosfera notturna e carica d’attesa, da vigilia, che nella seconda metà si screzia di un profumo vagamente sciamanico. Il coro torna a far capolino di tanto in tanto, per poi riappropriarsi della scena poco prima del finale, nuovamente in mano agli archi. “Light on the World” mescola melodie orientaleggianti col gusto più celtico della cantante, ma le due anime della canzone restano, forse, troppo separate, perdendo quindi un po’ di efficacia. La canzone si conferma comunque molto intrigante, risultando forse la migliore della prima parte dell’album per il suo sapore atipico. “Upon Your Destiny” abbassa i toni, avanzando con fare raccolto e soave su un arpeggio delicato. Il brano cresce, tessendo pathos col procedere del minutaggio e fondendo atmosfere bucoliche con una leggera enfasi orchestrale (dal vago sentore, nell’intermezzo strumentale centrale, di colonna sonora del Signore degli Anelli), per poi spegnersi nel finale nuovamente dimesso. “Redemption” è la traccia che più ricorda il precedente “The Quest”: pur mantenendosi grossomodo sulle stesse coordinate di “Upon Your Destiny” grazie a melodie flautate e un fare da romantica ballata, la traccia guadagna un peso specifico maggiore grazie a un piglio più determinato della voce, sorretta da una batteria che per la prima volta chiede attenzione. Si passa ora alla breve e mistica “The Messenger”, forse la più simile, tra le tracce finora ascoltate, a quanto effettivamente fatto da Enya: in sostanza si tratta di un breve intermezzo dalle atmosfere liquide durante il quale la voce di Leah gioca con un sottofondo strumentale rilassato e dall’intenso profumo new age. Il risultato è una traccia gradevole, utile per fungere da spartiacque tra le due metà dell’album, ma a conti fatti niente di più. Il terzetto finale dell’album, invece, è quello che paradossalmente mi ha convinto di più di questo “Ancient Winter”: è costituito da veri e propri canti natalizi di periodi storici diversi (“Gaudete” dovrebbe risalire al sedicesimo secolo, “Puer Natus” al tredicesimo mentre per “Noel Nouvelet” dovremmo essere intorno al quindicesimo), che grazie alla voce dolce della cantante e ad orchestrazioni dal piglio giustamente enfatico trovano a mio avviso il perfetto equilibrio tra un certo brio, dovuto alla rielaborazione in chiave fantasy delle melodie, e il pathos del materiale originale, contribuendo così a chiudere l’album con un degno finale. Ciononostante devo ammettere di aver trovato “Ancient Winter” piuttosto sottotono: le atmosfere create sono sempre intriganti e la voce di Leah non si discute, ma, come scritto in apertura, il risultato finale non possiede a mio avviso la giusta spinta per uscire dai limiti prettamente natalizi che si è autoimposto, dandomi quindi l’idea di un’occasione almeno parzialmente sprecata, soprattutto alla luce del suo più immediato predecessore. Resta comunque un lavoro molto piacevole che, nonostante sia un po’ troppo contestuale, si potrebbe rivelare ottimo per distendere i nervi durante una fredda giornata invernale, magari in prossimità delle feste e davanti al camino acceso, con in mano l’immancabile tazza di cioccolata fumante.

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