Recensione: Anger Temple

Di Daniele D'Adamo - 1 Dicembre 2016 - 0:00
Anger Temple
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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55

Dopo dieci anni di pausa, i panzer tedeschi My Darkest Hate ci riprovano. Tanto, infatti, è il periodo intercorso fra il loro quarto album, “Combat Area” (2006) e il neonato “Anger Temple”.

In linea generale stare fermi in una qualsivoglia attività umana non è cosa buona e giusta. Se, poi, si tratta di un settore artistico come quello musicale, un lasso di tempo simile può rivelasi un abisso. Una voragine fra quello che si era, rapportato al mondo dell’epoca, e quello che si è, calibrato a quello di adesso. Con il risultato che, come accade di solito, quella che dovrebbe essere a tutti gli effetti una nuova uscita si rivela, invece, un mero e funesto tuffo nel passato. Un’immersione che, in un attimo, può cancellare lustri di evoluzione musicale.

A tale regola non sono sfuggiti, purtroppo per loro, i Nostri. I quali, sì, si dimostrano degli eccellenti esecutori di death metal ma, anche, dei songwriter terribilmente scontati e soprattutto scolastici. Ovverossia, privi di verve, di spunti luminosi, d’idee fresche e accattivanti, di quel qualcosa in più tale da rendere il platter irresistibile, perlomeno a tratti, almeno.

Come più su accennato, “Anger Temple”, è una perfetta esecuzione di death metal classico. Né old, né blackened, né brutal, né technical, né cyber, né… niente. Benché sia evidente la loro preparazione tecnica, nonché il loro retroterra culturale, che consente a essi di definire con esattezza assoluta il proprio (anonimo) stile, i My Darkest Hate riescono a produrre, sostanzialmente, soltato song prevedibili, una volta ascoltata la prima (‘You Shall Know Them’).

In pratica, dietro ai cantucci di casa, immaginabili come le canzoni di “Anger Temple”, anche a cercare e a ri-cercare, non si trova nulla. Nessuna sorpresa. Sempre e solo lo stesso modus operandi che non si discosta mai da un possente, vigoroso, massiccio death metal.

Alla lunga, ma nemmeno troppo, tragicamente noioso. Che non lascia nulla in memoria. Tranne, forse, ‘Rise and Rise Again’ se non altro per un ritornello anthemico, riottoso che, a forza di passarlo nel lettore, lascia qualche nota sparsa qua e là nella mente di chi ascolta. Nemmeno i pezzi dotati di maggior energia cinetica rispetto alla media, come la medesima ‘Rise and Rise Again’ – e non è un caso se si ritorna sulle stesse orme – , riescono a spezzare la monotonia di un’opera piatta e uniforme. Forse non aiuta l’interpretazione di Claudio Enzler, fissata su un growling privo di varietà, ma è proprio l’insieme My Darkest Hate che non funziona: da ‘You Shall Know Them’ a ‘My Anger, My Temple’. Passando da composizioni inutili come ‘Me, the Cure’ che, senza esagerare, paiono messe lì apposta per coprire quel crepaccio in cui, inesorabilmente, scivolano le (pochissime) idee che il quintetto di Ludwigsburg riesce a far baluginare dal grigiore generale, peraltro con estrema difficoltà.

Un flop, per dirla breve, nonostante il battage pubblicitario messo su dalla pur sempre volonterosa e professionale Massacre Records.

Daniele D’Adamo

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