Recensione: Angst

Di Vittorio Sabelli - 27 Giugno 2013 - 15:52
Angst
Band: Hybrid
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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75

 

Hybrid, monicker più appropriato non poteva esserci per esprimere a parole quello che si ascolterà nei sette brani di “Angst”. E non pensate che si racchiuda tutto in una sola parola, perché il trio (di base) spagnolo sfodera creatività compositiva unita a una tecnica sopraffina che fa di queste sette tracce altrettante pietre preziose. Ognuna di essa brilla di luce propria e contiene elementi tra i più disparati, che in un ibrido di generi rende il discorso fluido, complesso ed eccitante. Niente che segue il presente è scontato!

Ciascun istante è pensato in funzione del successivo e tutti i più sofisticati meccanismi di composizione sono messi in scena. Impossibile non restare incollati alle cuffie per ‘questi’ trentacinque minuti, il linguaggio degli Hybrid incita i nostri sensi e li mette in simbiosi con il loro pensiero, portandoci a esplorare mondi paralleli ed estremi che fanno della musica un tramite verso l’ignoto. Potrebbe risultare una presentazione eccessiva per una band sconosciuta ai più, ma basti pensare alla penisola iberica e all’ultimo lavoro dei Wormed per approcciare nella giusta direzione la band di Madrid! Sapere che i suoi membri sono ex componenti di Wormed, Framents, Human Mincer e Another Kind Of Death potrebbe essere un buon inizio per entrare nel mondo matematico e cerebrale della band, sotto le cui mani un possente death metal viene manipolato, stravolto, adattato e intriso di grindcore ed elementi prog che spaziano in tutte le direzioni. Segni di squilibrio (mentale e compositivo) la band li aveva già dati con il loro primo full-length “The 8th Plague” del 2008, ma in “Angst” vengono fuori maggiori contrapposizioni stilistiche oltre che a un sound più flessibile e accattivante.

Elemento chiave per il sound globale è il settaggio della batteria, che suona più jazz che metal, amalgamando il discorso globale e conducendolo in strade tortuose ma affascinanti. Potremmo rivolgere lo sguardo a fonti d’ispirazione come Zyklon, Origin, Cynic, ma preferirei non farlo per il semplice motivo che tutto ciò che invade la musica degli Hybrid è talmente personale e intimo che non renderebbe giustizia paragonandoli a più blasonati act.

La furia e i cambi di tempo dell’opener “Flesh Fusion Threshold” sono smorzati da un’improvvisa e improbabile bossanova finale, che lascia attoniti e perplessi, ma non quanto basta per decretare l’inizio della follia: sembra che John Zorn si fonda con i Napalm Death nei Painkiller. “Enter The Void” vede un’alternarsi di voci ed emozioni differenti che si rimbalzano nell’enunciazione di «Loneliness, Not Solitude. Nobody cares About You, It’s Nothing Personal. Nobody Cares About Nothing. Nobody Cares About No One» e il soave suono del clarinetto irrompe nell’*-core di “Collapse To None”, a evocare melodie mediterranee, che svaniscono e sfumano nella seguente “Self-Implosion”. Cambi di ritmo fulminei, chitarre left’n’right e mid-tempo contaminati da riff sui quali la voce e la batteria di Chus fanno bello e cattivo tempo, sempre pronta a venire incontro alle corde, per poi fuggirne e metterci contro.

La strumentale “Cuando El Destino Alcance” vede nuovamente il clarinetto di Alex Diez che fa da contraltare a riff distorti, mentre ancora Chus dietro le pelli direziona il suo lavoro su pattern inconsueti e ritmiche non strabilianti, quanto ‘in sintonia’ con la musica, rispettando le giuste pause e i giusti colori. Gli arpeggi poliritmici di “Angst Ridden Inertia” s’incastrano a puntino con figure ritmiche improbabili e con accordi lineari, ma sono solo un’illusione che ci riporta a confrontarci con il lato oscuro della band, quello estremo, fatto di accordi dissonanti e up-tempo serratissimi. Il “Doomed To Failure” in stile Black Sabbath, con un tocco di sitar tra distorsioni remote, è il giusto congedo, con le parole «Cotidie Morimur, Cotidie Conmutamur Et Tamen Aeternos Esse Nos Credimus», tutto secondo una direzione e un obiettivo ben preciso.

Gli Hybrid centrano un disco riuscito, con un’eccellente produzione, che vi trasporterà su mondi paralleli, a volte vicini ma molto spesso lontani!

Vittorio “vs” Sabelli
 

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