Recensione: Anima Era

Di Roberto Gelmi - 6 Febbraio 2018 - 10:00
Anima Era
Band: Feronia
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Waking up to forgotten memories
Checking all my identities
Nothing can bring me down
I’ve overcome my doubts
I don’t need more sorrow

(da “Priestess of the ancient new”)

 

Uscita che si presenta accattivante già dall’artwork, Anima Era dei Feronia è definito dal press kit (rilasciato dalla label Andromeda Relix) «un album metal, con riferimenti progressivi, mistici e reminiscenze hard rock oscure degli anni ’70. » Si citano band come Opeth, Fates Warning e Kingdom Come, ma diciamo subito che esagerare con i paragoni è sempre ingannevole. La band è un quartetto, che vede la cantante e songwriter Elena Lippe al microfono, Fabio Rossin alla chitarra, Daniele Giorgini al basso e Fabrizio Signorino come batterista. Il full-length di oltre cinquanta minuti è diviso in undici tracce e presenta testi che meritano una lettura attenta. Spiega la cantante: «I Feronia sono poesia, arte, ecologia, psicologia, consapevolezza, ricerca spirituale, gender studies, impegno etico e politico. […] Musica e Poesia rappresentano un Ponte attraverso cui connettersi ad altre persone e alla Vita. Le liriche dei brani si ispirano a una visione ecologica che […] intende il nostro Pianeta Terra come Grande…».
Di qui il moniker del gruppo, che si ricollega alla divinità romano-sabina della fertilità. Altre band hanno scelto di rifarsi a un nome “importante”, basti pensare agli Angra, ai nostrani Arthemis e Athena. I temi panteistici sono altresì frequenti in ambito metal e il femminismo è un cavallo di battaglia ad esempio dei Delain. I Feronia hanno in comune con la band olandese, tra l’altro, un approccio sonoro che punta moltissimo sulle chitarre abbassate e relativo “contrasto” con linee vocali eteree.

L’opener “Priestess of the ancient new” è un buon pezzo diretto e quadrato, valorizzato da un guitarwork droppato e la voce duttile di Elena Lippe, che risulta in certi momenti vicini a Tarja. Convince anche la successiva “Atropos” (nome di una delle Parche), con gli ostinati ritmici di Fabio Rossin e un assolo da manuale. Titolo ossimorico per “Wounded healer”, pezzo dall’attacco schiacciasassi e prosieguo sostenuto. Si inizia ad avvertire, tuttavia, una certa monotonia nelle soluzioni compositive e nel sound roccioso ricco di delay. Si sfocia nel thrash con la seguente “Garden of sweet delights”, mentre i testi di “Humanist” sono corrosivi («I don’t need a Bible to do good/I have a sens of bliss/connected to Life itself») e il refrain è ricercato: «Catalyst/Humanist/Call me/Idealist, Anarchist/Feminist/Call Me/Atheist.» In sette minuti insomma sono presenti tutti i temi cari ai Feronia, un pezzo rappresentativo come pochi. Dopo il giro di boa non ci aspettiamo novità nei restanti pezzi. Spiccano le sonorità desultorie della pseudo-ballad “Innocence” (ma le linee vocali sono troppo sguaiate a tratti) e la pazzia di “Thumbs up!” (con tanto di citazione di Charles Bukowski), song che spicca sul resto della tracklist.

In definitiva Anima Era è un album coeso, con qualche spunto interessante, produzione discreta e testi d’approfondire un minimo. Chi volesse scoprire una nuova band metal in ambito italiano può andare sul sicuro.

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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