Recensione: Animal

Di Alessandro Marrone - 21 Gennaio 2019 - 15:00
Animal
Etichetta:
Genere: Alternative Metal 
Anno: 2018
Nazione:
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73

Attivi dal 2001 e giunti al loro ottavo album, gli Shining – quelli norvegesi, da non confondersi con l’omonima band però proveniente dalla Svezia e con sound e messaggio completamente differente – hanno dato alla luce un album a dir poco controverso. Non giriamoci intorno, Animal è il figlio illegittimo di un ibrido tra i Muse ed i Papa Roach. A sentirla così non sembrerebbe neanche male, dato che si può immaginare una perfetta combinazione di sperimentazione, rock psichedelico e melodico, messo insieme e mescolato grazie alle indubbie abilità tecniche di Munkeby e soci. Il problema sorge nel momento in cui gli Shining non vi siano del tutto sconosciuti e abbiate avuto la fortuna di ascoltare un certo “Blackjazz”, album del 2010. Lasciamo per un attimo da parte gli esordi strumentali e la fortissima dose di sax presente durante i primi passi della band norvegese e domandiamoci se sia realmente necessario capire il motivo di una simile metamorfosi o se forse dovremmo concentrarci sull’ultimo nato del combo scandinavo, che porta nel nostro lettore cd tre quarti d’ora di musica concettualmente agli antipodi rispetto a ciò che ci saremmo aspettati.

 

Ascoltatelo fregandovene di preconcetti e della fastidiosa pulce che posso avervi ficcato nell’orecchio. Le 10 tracce di Animal hanno la capacità di mettervi in pace con il bordello emotivo che Blackjazz era stato in grado di fomentare dentro di noi. Un caos cosmico che era in grado di ammaliare e stordire ad ogni colpo, spingendoci inesorabilmente sempre più verso il limite della sanità mentale e finendo per scuotere la testa sotto ritmiche e suoni distanti dal rock più tradizionale, figuriamoci da sonorità tipicamente metal. Animal, come detto, non si tratta di nulla di tutto ciò: non è metal, non è jazz, non è sperimentale. Questo è un disco di rock melodico, in grado di sparare una dietro l’altra cartucce da radio e un’ora scarsa di colonna sonora per i vostri spostamenti in auto. Non sarà necessario percorrere il disco in religioso silenzio, sarà la musica stessa a entrarvi in testa, forte di melodie esaltate dalle doti vocali del sopracitato Munkeby, da quelle poche e giuste note messe esattamente come e dove dovrebbero essere per funzionare già ad un primo ascolto. La partenza è una bomba, con Take Me e la title-track Animal a sottolineare l’attenzione per una melodia di facile assimilazione, scontata fino a quel punto in cui risveglia in voi la voglia di constatare che ciò che state ascoltando vi stia entrando dentro nel verso giusto, tanto da non importarvi più se sulla copertina ci sia scritto Shining o 30 Seconds To Mars. Con le successive My Church e Fight Song si mantiene una media altissima, sia a livello di qualità che di esecuzione, senza parti prolisse, ma mostrando l’innata capacità di fondere un brano diretto e melodico, con parti più emotivamente cariche e rese quasi pompose da una performance vocale ineccepibile. Il resto del disco ricalca la voglia di libertà, un rock melodico senza barriere, che non si vergogna di calcare binari più ruvidi, come per il singolo Everything Dies, ma lo lascio scoprire a voi, anticipandovi che il fatto di mantenere una durata dei pezzi attorno ai 4 minuti, non fa altro che accentuare il senso di radio-play dell’intero disco, un album di cui non avreste mai sentito il disperato bisogno, ma che una volta entrato nella vostra collezione finirà quasi certamente per prendere residenza nel lettore cd, facendosi consumare ascolto dopo ascolto.

Insomma Animal sarebbe un (buon) disco fin troppo scontato se fosse stato pubblicato da tante altre band. Vederlo incluso nella discografia di un gruppo avanguardistico come gli Shining fa riflettere sulle possibili strade che il gruppo potrà prendere in futuro, ma quello per cui sto scrivendo queste righe gira attorno ad una domanda soltanto: vale la pena comprarlo? Molti lo snobberanno, altri lo considereranno addirittura un passo falso, ma io credo che se l’intenzione fosse quella di allargare il proprio pubblico, la mossa sia stata compiuta nel modo giusto, sfoderando un combo di ottime canzoni che ti entrano in testa e ti continuano a rimbalzare da una parete all’altra del cervello. E quindi, si può accusare gli artisti per aver scritto delle belle canzoni, solo per il fatto che non siano fuori di testa come il 90% della restante discografia? Non credo, proprio come non reputo che Munkeby abbia deciso di fare “sell out”, ma che si tratti semplicemente dell’ennesima prova che un vero artista si identifica prima di tutto nella libertà di espressione della propria forma d’arte e con un’evoluzione stilistica simile, gli Shining dimostrano che si può decidere di non avere confini, basta soltanto volerlo. In questo caso, il passo su territori tipicamente mainstream è stato anche compiuto con disinvoltura e ci regala una decina di canzoni di quelle giuste. Non fondamentali, ma prima o poi vi ritroverete a canticchiarne una anche voi. Ve lo consiglio? Sì, perché a volte, tutto ciò di cui abbiamo bisogno dalla musica, è spensieratezza. E accogliere Animal con favore non implica necessariamente tradire Blackjazz – quello resterà l’emblema della band, a prescindere da cosa e come suoneranno ora e sempre.

 

Brani chiave: Take Me / Fight Song / Everything Dies

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Genere: Alternative Metal 
Anno: 2018
73