Recensione: Ankaa

Di Daniele D'Adamo - 29 Maggio 2016 - 16:25
Ankaa
Band: Eths
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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55

“Ankaa”, quarto full-length dei francesi Eths, prende il titolo dalla più splendente fra le stelle che disegnano la costellazione della Fenice. Altresì detta Alpha Phoenicis, “Ankaa” rappresenta la rinascita dell’ensemble francese dopo importanti, terremotanti defezioni.

Candice Clot, in primis, carismatica vocalist dalla nascita della band (1999) sino al 2012; Grégory “Greg” Rouvière, chitarrista dal 1999 al 2013; Guillaume “Yom” Dupré, batterista dal 1999 al 2015; Geoffrey “Shob” Neau, bassista dal 2007 al 2011.

Per tenere viva l’anima della line-up l’inamovibile former-guitarist Stéphane “Staif” Bihl, perno centrale della questione, senza demordere, ha riformato il tutto accostandosi a elementi d’indubbia professionalità ed esperienza quali Rachel Aspe (Dividead, Kerion, NightCreepers), voce; Damien Rivoal, basso; e Dirk Verbeuren (Soilwork, Abyssal Vortex, Anatomy Of I, Bent Sea, Phaze I, Scarve, The Project Hate MCMXCIX, Vetur, Withered Moon), batteria. Con, in più, l’ausilio della vocalist degli Arkan, Sarah Layssac. 

Tutto quanto sopra, tuttavia, non poteva non provocare danni. Prima di tutto, allo stile. Intrappolato in una commistione fra generi dai contorni sgranati. Non tanto per via di una particolare originalità, quanto una palese mancanza di coesione, di tenuta. Troppo frammentario, insomma, “Ankaa”; indeciso sulla direzione da prendere. Deathcore? Metalcore? Symphonic death metal? Melodic death metal

Il suono è buono e possente, dal taglio moderno. Almeno quest’ultimo, sicuramente *-core. Anzi, deathcore. Ma con una tipologia così confusionaria da spiazzare continuamente, chi ascolta, in maniera sfortunatamente non positiva. Circostanza aggravata altresì dalla presenza di female vocals arabeggianti, che poco si amalgamano con l’insieme delle song. Delle quali, per inciso, si riesce a memorizzare ben poco, anche ripetendo gli ascolti. Non a caso il migliore episodio è proprio quello iniziale: ‘Nefas’. Nel quale, al contrario di ciò che accade nel resto del disco, gli Eths picchiano duro, senza pietà, con unità d’intenti. Non perdendosi per strada distratti dalla voglia di compiere voli pindarici dalla dubbia efficacia, benché sia presente l’immancabile break centrale ambient, in questo specifico caso sicuramente azzeccato per via dei suoi toni forti, epici, oscuri. 

Il resto di “Ankaa”, invece, naviga nel buio nel tentativo di ripetere la buona partenza con la ridetta ‘Nefas’. Ottenendo, in concreto, il solo obiettivo di essere dispersivo. E, quindi, poco attraente, poco accattivante, poco spesso. Diventando, in breve tempo, noioso.

Il che, più di tanti discorsi, perifrasi, metafore e aggettivi, vale da sé come miglior giudizio complessivo sul lavoro.

Daniele D’Adamo

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