Recensione: Annapurna

Di Tiziano Marasco - 21 Maggio 2016 - 10:00
Annapurna
Band: Annapurna
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Lo stoner tira. Poche storie. Altrimenti a Praga non mi sarei mai trovato ad un concerto degli Annapurna, giovane complesso ticinese di belle speranze ed appunto dedito a questo genere. Il punto forte di questa band, il cui nome indiano rivela più di quanto non sembri, sta nell’approccio al genere. Lo stoner in effetti è uno strano connubio di hard rock e psychedelia, nella fattispecie i nostri prediligono nettamente per la seconda, la loro proposta è permeata di atmosfere ovattate, liquide, lisergiche.

Strano ma vero (almeno se non si conosce la storia dei Beatles), l’india ha sempre avuto un estremo fascino per molte band psycho-prog britanniche, elemento che poi si è esteso anche a tutto il continente europeo. Poi guardando la cover di “Crack the Skye” dei Mastodon, si capisce che il filo conduttore indo-psychedelico è lungo e le diramazioni innumeri. Di fatto lo stoner proposto dal gruppo di Bellinzona ha molto del rock psychedelico settantiano, tuttavia arricchito in vari modi.

In ogni caso i nostri, volendo tracciarne in maniera più definita le coordinate sonore, si avvicinano parecchio anche ai francesi Glowsun. La proposta ha molti punti in comune con i transalpini, è tuttavia ulteriormente impreziosita dalle vocals. L’omonimo album degli Annapurna si snoda in sette tracce di minutaggio elevato ed offre  composizioni piuttosto complesse. La fanno da padrone le atmosfere dilatate, come detto, tanto che qua e la si arriva a sfiorare il post rock. Altrove invece non mancano sfuriate decisamente più rabbiose, proprie dell’hard rock. 

A tutti gli effetti, l’album si rivela tuttavia compatto, non annoia, si lascia ascoltare piacevolmente. La produzione e l’artwork sono sorprendentemente ben curati, l’effetto è ottimo. Difficile trovare un punto debole dunque, al di là, forse, di un’eccessiva derivatività in alcuni momenti. Ad ogni modo si tratta di un peccato veniale, anche perché il genere proposto, sebbene stia prendendo piede negli ultimi anni, è ben lontano dall’essere mainstream e le band che vi si dedicano sono ancora poche. 

Pezzi come la opener Anthares, la megasuite, divisa in due parti, Magma (che sia un tributo?) e Serotonin sono pezzi più che validi. Insomma, questi svizzeri con un pugno di fan sono riusciti a mettere insieme un ottimo album cosparso di acidità. Risulta abbastanza raro che l’underground (non importa di quale nazione), riesca a proporre dischi che fanno alzare le sopracciglia, che attirino l’attenzione grazie a bravura compositiva, stile e, soprattutto passione. Questo è il caso degli Annapurna.

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