Recensione: Annihilator

Di Lucia Cal - 23 Novembre 2010 - 0:00
Annihilator
Band: Annihilator
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Anno: 2010
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78

Le nostre storie fanno parte di noi. Scolpite nei lineamenti del nostro viso, vi lasciano impronte che si imprimono a forza nelle nostre espressioni. Tendenze che nascono, evolvono, mutano a volte si dissolvono, mentre noi, ancorati ad una realtà molteplice, affrontiamo questo continuo divenire attraverso le maschere costruite dalle nostre consapevolezze. Calchi attraverso cui i nostri ricordi si travestono di vitalità, si disgregano in sogni infranti o reiterano le sfumature spettrali dell’incubo.
Un incubo che si snoda nell’arco di un ventennio e condensa ora le sue forme nel concept di ‘Annihilator’, progetto che marchia a fuoco la sua storia sulla fronte di Alison Hell.
“Non mi è venuto in mente niente di meglio!” esclama con candore l’anima e la costante degli Annihilator, progetto solista che per anni ha affondato le proprie radici nella figura di Jeff Waters, coltivando però l’infinita rete di influenze intessute dalla collaborazione di un enorme numero di artisti. Avventura costellata dalle più variegate vicissitudini artistiche, si è assestata da diversi anni sulla tenacità delle due coordinate Waters & Padden, dinamismo congiunto di due musicisti che vogliono “esplorare tutti gli aspetti della musica”. Un ventaglio di suggestioni che si propaga con naturalezza dal classic heavy al thrash metal, includendo raffinatezze hard rock e rifiniture speed.

Un riff crescente velato da malinconica tensione di stampo heavy introduce il mormorio crescente di ‘The Trend’, pezzo scandito dalla sottigliezza dei continui sofismi delle chitarre di Waters ripagati dalle sferzanti battute di Padden che si riversano in evasioni multiformi attorcigliate nel sentimento provocatorio di un match contro se stessi. Il cantato aggressivo di Padden, fra alti e bassi, sembra trovare una propria individualità affine all’esposizione di assoli e scale entusiasticamente introspettivi, all’inseguimento di un’identità contemporanea che trasuda vent’anni di carriera. I frequenti cambi di ritmo contribuiscono ad amalgamare un’esibizione a tratti scostante attraverso crescendo e fughe astute e riuscite, un gioco di corde avvincente che devia l’esibizione di Padden in alcune sfumature, concedendo per qualche istante la sensazione che Waters rimanga inarrivabile.
La scarica di autentico thrash infiamma gli accordi iniziali di ‘Coward’: l’ispirazione di assoli vertiginosi, freschi e trapelanti un indistinto sentore NWOBHM, al pari di una produzione fin troppo qualitativa, presentano un pezzo la cui durezza old school si incunea nel riuscito gioco strumentale coadiuvato da Waters, ma attenua la propria densità in qualche passaggio vocale di Padden, poco incisivo ma non per questo meno riuscito. Gli assoli congeniali a un’esuberanza compositiva ispirata da continui cambi di registro si alternano a momenti caratterizzati da riprese in un groove marcato da impulsi thrash che emergono dalla massicciata di suoni prettamente heavy. L’attacco di ‘Ambush’ convalida e raffina l’effettiva lezione di thrash metal imbastita dal gruppo, in uno stridore di dissonanze in cui Padden & Waters sono interpreti e artefici di un pezzo magistrale, costruito tra distorsioni e l’irruenza impetuosa di quel talento che ha incastonato schegge di thrash firmato Annihilator fra i capolavori imprescindibili del genere.

La lezione si rende ancor più interessante nell’apertura di ‘Betrayed’, costruita attraverso l’ipnosi degli intarsi strumentali in un mosaico di percezioni amplificate dal fascino di un nuovo, disarmante assolo. Tuttavia, il pezzo sembra non decollare come i precedenti, smorzato dall’interpretazione meno definita di Padden, i cui vocalismi risultano più innovativi in un contesto più riottoso e genuinamente thrash, mentre la performance si stempera in un refrain piuttosto ripetitivo, privo della precedente verve. Il suo timbro guerrafondaio si accanisce nuovamente in ’25 Seconds’, pezzo che insieme a ‘Nowhere To Go’ lascia finalmente apprezzare l’onesto intervento al basso di Waters, ma che conserva la medesima sensazione di un esito altalenante, un puzzle i cui tasselli affiancano intuizioni intense ed esecuzioni impeccabili a zone d’ombra, fiaccate dall’interpretazione di Padden, spesso disgiunta dal contesto di eterogeneità del disco. L’originalità si stempera nella prevedibile coralità di ‘The Other Side’ e nella lineare genericità di ‘Death In Your Eyes’, resi comunque singolari dai fervidi e solerti accorgimenti di Waters.
Lo sforzo vocale di Padden si lega nella prima cavalcata Hard & Heavy dal ritmo apprezzabile ornato dalle battute strumentali scambiate tra chitarre e batteria, in un dialogo riuscito e ben congeniato, mentre si perde in un refrain disorganico e fin troppo eclettico, un pezzo che concede emozione a partire dalla seconda strofa, escludendone un groove piuttosto misero e poco coinvolgente, ma che si riprende nell’ennesimo assolo di stampo professionistico alla Waters. Un inedito Padden nella cover di Van Halen ‘Romeo Delight’, brano che a suo tempo cambiò la vita di Waters, investito dallo slancio febbrile di un brano dall’interpretazione tutt’altro che scontata, ne fa trasparire lo spirito nell’avvicendarsi delle melodie catchy congiunte ad una personalità inconsueta ma che conserva l’integrità dell’originale.
Sfaccettature composite e duttili si aggregano a una grinta compositiva che denota un lavoro spontaneo e multiforme, franchezza che non si preoccupa di celare qualche impurità che soppesa alcune ombre su un risultato finale a tratti trasandato, ma non per questo meno fruibile.

Lucia Cal

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Tracklist:

01 The Trend
02 Coward
03 Ambush
04 Betrayed
05 25 Seconds
06 Nowhere To Go
07 The Other Side
08 Death In Your Eyes
09 Payback
10 Romeo Delight

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