Recensione: Anno Domini High Definition

Di Angelo D'Acunto - 15 Luglio 2009 - 0:00
Anno Domini High Definition
Band: Riverside
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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81

Tornano a farsi sentire i Riverside, band da sempre fedele ad un prog rock
dalle forti tinte oscure e malinconiche che, a dirla tutta, hanno non poco
appesantito le produzioni del quartetto polacco, rendendole difficili da
assimilare, se non dopo una buona dose di ascolti. Molta era la curiosità
(sopratutto del sottoscritto) di vedere cosa sarebbe riuscito a fare il
gruppo dopo la fine della trilogia denominata Reality Dream, cominciata nel 2003
con Out Of Myself e conclusasi con l’ultimo Rapid Eye Movement (datato 2007).
Ebbene, curiosità piuttosto soddisfatta con questo Anno Domini High Definition,
capitolo numero quattro della carriera che, come vedremo, segna un deciso cambio
di rotta per quanto riguarda il tipo di sonorità adottate dal combo di Varsavia.

Dopo essersi scrollati di dosso gran parte delle atmosfere più
gothic-oriented,
mantenendo comunque una piccola parte di quell’alone depressivo che ha da sempre
contraddistinto i prodotti del gruppo e che continua ad aleggiare minaccioso
anche sulle composizioni di Anno Domini High Definition, i Riverside decidono
quindi di imboccare un’altra via: il sound che ne esce fuori risulta essere
molto più duro e indirizzato verso coordinate prog metal forse un un pochino più
“standard”, ma che è
comunque il frutto di un songwriting piuttosto ispirato. A guidare il tutto c’è
come sempre il frontman Mariusz Duda, con la sua voce calda ed evocativa, quasi
spettrale nella sua interpretazione, sostenuta in ottimo modo da una sezione
ritmica che, come già detto, in molti tratti decide di spingere un
po’ di più il piede sull’acceleratore.
L’apertura è affidata ad Hyperactive, traccia introdotta dagli eleganti giri di
piano ad opera di Michal Lapaj, caratterizzata da ritmiche convulsive e
frequenti cambi di tempo, per poi lasciare spazio ad un finale molto più
energico e, a tratti, ossessivo, sopratutto nelle parti vocali di Mariusz.
L’immancabile suono distorto del basso di Duda fa da apertura per la successiva
Driven To Destruction,
anch’essa contraddistinta sopratutto dai vari cambi di umore e di
tempo che si alternano continuamente al suo interno: ora più lenti, riflessivi e
fedeli alle classiche produzioni della band, ora più energici e coinvolgenti,
con sfuriate elettriche che si insinuano prepotentemente fra uno stacco
atmosferico e l’altro. La parte più psichedelica del gruppo di Varsavia esce
improvvisamente allo scoperto con Egoist Hedonist, highlight assoluto
dell’intero lavoro caratterizzato da riff di chitarra molto più duri e diretti,
che cedono spesso e volentieri il ruolo da protagonista agli innesti di synth e
strumenti a fiato ricreati dal sempre bravo Lapaj. Prima parte di disco
decisamente meno dura da assimilare quindi, sopratutto rispetto a quelle che
erano le produzioni passate della band, grazie a partiture apparentemente più
semplici e alle atmosfere oscure che vengono messe da parte a favore di una
componente più heavy, capace di rendere i brani coinvolgenti e convincenti sin
dal primo giro del lettore. A spezzare un tantino la tensione ci pensa invece Left Out,
traccia di undici minuti circa caratterizzata da sonorità distensive e
malinconiche, quasi ipnotiche e forse un tantino più dure da digerire
nell’immediato, che lasciano spazio, successivamente, al ritorno verso sfuriate
più energiche e dirompenti che ritroviamo nella conclusiva Hybrid Times.

Notevole passo in avanti per i Riverside. La band di Varsavia, con
Anno
Domini High Definition
, è riuscita a mutare la forma delle proprie composizioni,
senza però perdersi per strada, mantenendo comunque una buona dose di quelle
sonorità che hanno da sempre contraddistinto le produzioni passate, rendendole
sostanzialmente più dure, dirette e facili da assimilare nell’immediato. Un
disco piuttosto riuscito quindi, il quale conferma quelle che sono tutte le
abilità compositive ed esecutive di Duda e soci. Da una parte farà felici tutti quelli
che hanno seguito il gruppo polacco sin dagli esordi, mentre dall’altra riuscirà

a strappare consensi anche da chi è abituato a prodotti
progressive di stampo più “standard”, ma non per questo privi di valore.

Angelo ‘KK’ D’Acunto

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Tracklist:

01 Hyperactive
02 Driven To Destruction
03 Egoist Hedonist
04 Left Out
05 Hybrid Times

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