Recensione: Another Night Of Passion

Di Fabio Vellata - 8 Aprile 2012 - 0:00
Another Night Of Passion
Band: Mad Max
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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75

C’è chi va, c’è che viene. C’è chi sale, c’è chi scende.
C’è chi ritorna e tenta di riannodare le fila del passato con successo e c’è chi, nel medesimo tentativo, fallisce miseramente buttando alle ortiche decenni di carriera.
Nel rock come nella vita, l’avvicendarsi delle stagioni può essere spietato quanto benevolo: pur in presenza di molti presupposti positivi e buona volontà, il rischio di naufragio di un’idea all’apparenza notevole è sempre in pericoloso agguato.

2012, Mad Max, “Another Night Of Passion”.
Chiunque con un minimo di familiarità con la storia del seminale gruppo rock tedesco, non avrà potuto sottrarsi ad un collegamento immediato e diretto. “Vuoi vedere che siamo in presenza di un omaggio, nemmeno troppo nascosto, all’unico e vero capolavoro prodotto da questa onesta band germanica nel 1987?”
Centro pieno. E del resto, come poteva essere diversamente.
È lo stesso Michael Voss, poliedrico frequentatore della scena europea, immischiato in qualche bilione di progetti differenti, nonché responsabile della fondazione del quartetto del folle Max, ad impugnare il microfono per ammettere candidamente il desiderio di ritornare alla radice, provando a cancellare con un colpo di spugna tutto quanto accaduto nel corso di venticinque anni di altalenante storia musicale.
Un seguito all’ottimo “Night Of Passion”, disco che proprio tre lustri fa, aveva condotto Voss e compagni alle soglie del successo planetario, a dire il vero, poteva apparire come la classica operazione “nostalgia” attuata per strizzare l’occhio ancora un po’ ai fan della prima ora, rimandando un declino all’apparenza – date le ultime marginali uscite – inevitabile ed incombente.

Un modo per garantire ad un nome storico, ancora un briciolo d’appeal sulle ali di un titolo indubbiamente fascinoso ed evocativo. Ma pure un meccanismo, come di solito per tutti i “parte seconda”, suscettibile di parecchio scetticismo e tanti dubbi sull’effettiva riuscita di un colpo di coda per lo più insperato.
Tant’è. La storia del rock, anche in questo caso come la vita, talvolta toglie e poi, forse, qualcosa restituisce. Magari in modi singolari e non nella stessa misura in cui ha troncato le legittime aspirazioni. Ma almeno ci prova.

Ed è così che, almeno questa volta, i buoni presupposti e l’idea di possibile successo, non crollano sotto i colpi dell’inesorabile paragone, portando a compimento un lavoro di “lucidatura” che matura buoni frutti e consegna agli ascoltatori un qualcosa di decisamente dignitoso e fornito di validi motivi per non sfigurare con il passato cui desidera riferirsi.
Songwriting messo a lustro, suoni ammodernati e grinta rock che lascia da parte molta della “mosceria” degli ultimi tempi, sono le fondamenta che vanno a costituire un disco godibile nella forma e più che discreto nei contenuti, in cui poter riconoscere parecchie delle classiche melodie del rock tedesco ed una buona dose di energia “elegante”, mai spaccona o troppo sbandierata. Oltre ad una crew di musicisti, Voss in testa (singer, il cui timbro potrà piacere o meno, al quale va comunque riconosciuta una professionalità assoluta ed un’esperienza senza pari), che dimostra quanto sia interessante suonare del buon rock senza impazzire alla rincorsa di nulla di improbabile o troppo fuori da una rassicurante classicità.

I risultati insomma, non sono affatto male e regalano un gradevole sapore di cose realizzate con cura e passione. Ovvio: replicare in tutto e per tutto la grandezza di quello che è stato il proprio punto massimo in carriera è spesso impresa vana. Inutile però negare i buoni effetti che, ad un ascolto non superficiale e distaccato, derivano da canzoni come “Metal Edge”, “Fallen From Grace” e “The Fever Of Love”, episodi di sano e vitaminico hard rock continentale che si mantiene in scia alla tradizione di cui i Mad Max sono parte integrante. Ritornelli pieni, melodie orecchiabili in evidenza, riff di ispirazione ottantiana ed un bel mulinare di chitarre rese robuste e corpose da una produzione affilata. Un modo un tantino ruffiano per occhieggiare anche alle nuove generazioni di ascoltatori che, in tal modo, non si troveranno troppo spiazzati o alle prese con un disco dall’odore ammuffito e stantio.
Il brano migliore della serie? Senza possibilità di smentite, la deliziosa “40 Rock”: grintosa e scalciante, è una piacevole sventagliata hard, cui si addiziona il coro più bello del disco. Il classico momento che dal vivo offrirà notevoli soddisfazioni a pubblico e musicisti.

Vari elementi che, sommati l’uno all’altro, mettono in cassaforte un risultato di massimo rispetto, concretizzando quello che a ragion veduta, può essere identificato come il miglior episodio dei Mad Max, sin dai tempi della reunion avvenuta nel 2006.
Come sempre in questi casi, meglio evitare il raffronto con album mitizzati e resi significativi da contesti storici probabilmente irripetibili: resta il fatto che, i Mad Max targati 2012 di “Another Night Of Passion”, sono comunque un bel sentire.

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Tracklist:

01.    Rocklahoma
02.    40 Rock
03.    Metal Edge
04.    You Decide
05.    Welcome To Rock Bottom
06.    Fallen From Grace
07.    Black Swan
08.    Back And Alive
09.    The Chant
10.    Fever Of Love
11.    True Blue

Line Up:

Michael Voss- Voce / Chitarra
Jürgen Breforth – Chitarra
Roland Bergmann – Basso
Axel Kruse – Batteria

 

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