Recensione: Antichrist

Di Alberto Fittarelli - 8 Agosto 2007 - 0:00
Antichrist
Band: Akercocke
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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85

Aristocratici ed elitari, gli inglesi Akercocke devono praticamente il 90% abbondante della loro notorietà attuale alla seconda metà del decennio che li ha visti protagonisti di una carriera in costante crescendo: il ghiaccio si era rotto con Choronzon, album non del tutto centrato ma comunque capace di portare il loro sound a livelli professionali e qualitativi di primo livello, e soprattutto di introdurre alle orecchie del pubblico una volontà sperimentatrice che faceva degli elementi classici, paradossalmente, le sue armi preferite; ma l’apice (definitivo?) è stato raggiunto con il perfetto Words…, di due anni fa: la pietra filosofale, la pozione magica capace di miscelare alla perfezione black, death e certe velleità prog rock che il quartetto ha sempre rivendicato.

Il passo successivo a un disco infallibile è sempre difficile e loro, che sono ormai rodati e smaliziati a dovere, lo sanno benissimo, e sono riusciti a convogliare la loro ispirazione nel segno della continuità invece di rivoluzionarla – come spesso succede a sproposito – concentrandosi su quelli che sono gli elementi più estremi della loro visione musicale: il brutal e il prog/tribal/folk, insomma quel blend atmosferico che ha sempre arricchito le loro composizioni senza mai risultare un inutile e secondario orpello. Se ci si trova oggi di fronte quindi ad attacchi frontali come Summon The Antichrist e subito dopo a crescendi epici come la travolgente Axiom è quindi dovuto alla loro (involontaria o volontaria che sia) capacità di enfatizzare gli estremi: violenza e feeling, impatto e sogno. Il growl di Jason Mendonça non è mai stato così profondo e ferino, il lavoro ritmico vede basso e batteria intrecciarsi in strutture superiori alla ormai trita media del metal estremo-ma-anche-melodico europeo, dimostrando che si può inserire armonie e parti progressive nel proprio death metal (in questo caso con fortissimi influssi black) dimenticandosi dell’esistenza di Gothenburg.

Ascoltate attentamente i ritocchi, i singoli arrangiamenti di un album complesso ed ambizioso come Antichrist: i brevissimi pizzicati di chitarra acustica, le percussioni tribali (e non provate a considerare un pezzo come The promise quale semplice intermezzo, please), i cori e le ripartenze di chitarra con una batteria che sta ancora mettendo mattoni per strutture intricate, e immaginateli poi nel loro castello, nella sala del camino, con un calice di vino rosso ciascuno, intenti a scegliere i singoli arrangiamenti per raggiungere il loro obiettivo finale: veicolare il Male con un verbo superiore.

La missione è definitivamente compiuta, e non serve chiederci ora cosa potrà seguire negli anni futuri: la loro abilità nel convogliare il meglio dell’estremo moderno in una miscela digerita e ricomposta a modo proprio è impossibile da intaccare. La visionarietà dei singoli brani ha dello stupefacente, con una My apterous angel e i suoi soundscapes orrorifici (come lo poteva essere un vecchio film della Hammer) sugli scudi, e ogni singolo brano è un quadro, un episodio di quella Via Crucis che porta alla definitiva disfatta della Luce, nel loro mondo. Concordiate o meno, di spessore artistico simile, in un’era di metal fast food, dove ogni disco, anche ottimo, viene dimenticato dopo due mesi a causa della perenne inondazione discografica, è più unico che raro.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Black Messiah 00:56
2. Summon the Antichrist 05:14
3. Axiom 05:14
4. The Promise 03:36
5. My Apterous Angel 06:52
6. Distant Fires Reflect the Eyes of Satan 02:31
7. Man Without Faith Or Trust 03:27
8. The Dark Inside 06:43
9. Footsteps Resound In An Empty Chapel 04:19
10. Epode 02:36

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