Recensione: Antichrist

Di Andrea Poletti - 20 Febbraio 2016 - 0:05
Antichrist
Band: Gorgoroth
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 1996
Nazione:
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83

The sin of Gorgoroth is the Sign of Satan

Potremmo chiudere con l’incipit qui sopra questa recensione, nulla di più che Satana a forma canzone, il signore dell’oscurità che riprende vita. I primi tre album, oramai diventati culto, dei Gorgoroth sono una delle punte di diamante del Black Norvegese, quel Black che oggi definiamo seconda ondata dove perlopiù in Scandinavia, proprio in quel periodo storico che va dal 1994 al 1997 circa, sono state concepite in alcune delle gemme più criptiche e malvagie di sempre. Trve Norwegian Black Metal troneggiava su ogni album underground che si rispettasse, oggi quasi scappa un sorriso visto il mistico decadimento, ma venti anni addietro aveva un senso, doveva essere inciso a fuoco come marchio di qualità garantita. Antichrist (Originariamente nominato Død, morte) è senza ombra di dubbio parte di una trilogia uscita proprio in quegli anni che ha liberato una bestia che ancora oggi non smette di sorprendere, ammaliare e riscuotere consensi. Anche se gli ultimi periodi non han di certo fatto gridare al miracolo, lasciando frigidi i fans più conservatori, è impossibile mettere in un angolo e dimenticare tutto ciò che i Gorgoroth han creato e donato all’umanità, nel bene e sopratutto nel male. 

Poco meno di venticinque minuti di durata per evocare il male attraverso sole sei tracce che conquistano e annichiliscono per malvagità ed estremismo; l’odio anticristiano prende consistenza e tridimensionalità per far risorgere Lucifero caduto negli abissi, mentre Dio attende la sua morte in sofferenza. Sì questo è un album anticlericale, anti sociale, anti musicale e satanico nel vero senso del termine, uno di quei rari casi dove le invocazioni e i riti oscuri han un continuo oltre le false profezie dei superflui in luoghi più o meno esoterici. Autoproclamatosi satanista convinto e fiero del messaggio da lui portato in atto, Infernus non ha mai nascosto la sua fede verso il capro e definendosi “Ambasciatore di Satana sulla terra”, questo ha dato origine a molte disquisizione, lasciando sempre un alone di inquietudine sulla creatura in sede live. Il Black, quello vero, autentico e ferale grida in onore di Satana, tutto il resto è musica che si proclama tale ma senza il feeling necessario. Punto e fine discussione, andiamo a concentrarci sull’album ora.

Uscito a due anni di distanza dal precedente Pentagram, Antichrist prende forma dopo un drastico cambiamento in line up, uno dei molteplici che si susseguiranno nella storia della band negli anni, riuscendo a mantenere intatto il carattere del gruppo a dispetto della giovane età ed inesperienza dell’epoca. Hat, primo cantante storico, decide di lasciare la band durante la sessione di registrazione ed Infernus convoca Pest per la conclusione dell’opera, in concomitanza Frost (si proprio lui) entra in qualità di session alla batteria per sostituire Goat mentre Samoth, che non ha mai fatto parte ufficialmente dei Gorogorth, esce ed il compito di registrare le tracce di basso ricade sul fondatore. A conti fatti, Infernus già al secondo album rimane solo, facendo girare intorno a sé un’intera Line-up quasi fosse una telenovela come spesso accadrà negli anni venturi; poco importa perché il risultato è sotto gli occhi di tutti e se ancora oggi siamo qua a regalare parole a quest’album, un motivo ci sarà. 

Prodotto e registrato con l’aiuto del celeberrimo Pytten, Antichrist è un album visto da sempre come “debole” in confronto ai due fratelli della trilogia ma dalla sua ha l’atmosfera lugubre e sulfurea che nei restanti capitoli non viene percepita, a discapito di una violenza senza paragoni che distrugge tutto senza chiedere permessi. Probabilmente l’essere stato composto in un lasso di tempo infinito per quegli anni (Dicembre 1994 – Gennaio 1996) ha portato ad una minore uniformità delle strutture sonore, come palesemente percepibile lungo la tracklist, con brani in costante contrasto gli uni con gli altri; causa nata senza ombra di dubbio dalle difficoltà umane tra i componenti del gruppo. En Stram Lukt av Kristent Blod (un rancido odore di sangue cristiano) è una strumentale soffocante ed opprimente che ti avverte sin dai primi istanti che quest’album non è dedicato ai benpensanti, le anime perse trovano casa e il sole si raffredda nei fiordi Norvegesi. Bergtrollets Hevn (la vendetta della montagna dei troll) la prima delle tracce con Hat alla voce è il 4/4 classico e funereo, impossibile non sentirsi parte di una foresta nordica dove le tenebre ti avvolgono nella neve invernale col cielo buio per l’eternità; una prestazione semplice, ortodossa ma fredda e glaciale quanto un monolite senz’anima. Quando a 2:00 lo stacco lasciare partire il blast beat con le grida di Hat la pelle si deteriora e tu muori dentro, non serve altro. Gorgoroth è un rituale da ascoltare rigorosamente in silenzio, la parte strumentale prima del cantato è putrida e senz’anima; un conseguirsi di linee melodiche taglienti sino alla chiusura col coro da imparare a memoria, possente e struggente allo stesso tempo. Possessed by Satan è l’inno per eccellenza all’antireligiosità, una canzone da urlare e conoscere a memoria per ogni amante del Black metal vero, profondo e spirituale. Non urla a caso ma un verbo cercato e mantenuto in vita da poche parole: 

“We are possessed by Evil

We are possessed by Satan

Possessed…”

Serve aggiungere altro? Pilastro fondamentale da celebrare dove Pest trova il suo giusto spazio e notorietà con una prestazione magistrale. Heavens Fall è la seconda strumentale, anche se un grido di dolore di Pest verso la fine come incipit per rafforzare la dose viene riscontrato è psichedelica attraverso l’incedere terremotate e sinistro, splendida. La chiusura viene affidata a Sorg (dolore) con il ritorno di Hat alla voce è il lentone che inghiotte, subliminale e degradante grazie ai cori è considerabile quale messa nera in tutto e per tutto. Non ci sono parole per descriverla, la chiusura del cerchio perfetta con la pioggia che ti affoga mentre tu esali i tuoi ultimi respiri vitali.

Per quanto breve Antichrist è un album nel vero senso della parola dove la qualità è stata preferita alla quantità, lo si può ascoltare due volte in meno in di un’ora e si sente il bisogno di riprenderlo una terza volta. Sono passati oltre vent’anni dalla sua uscita ma ancora oggi l’impatto è considerevole e la prima riprova che i Gorgoroth già all’epoca erano un cancro nel mondo, una miccia per far esplodere i pensieri e le parole mai usciti dagli animi dei perduti in cerca di vendetta. Un nome, un simbolo, un dogma per ogni amante del Black metal, astenersi falsi profeti.

Antichrist è dedicato ad Euronymous (1968-1993)

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