Recensione: Antikult

Di Stefano Santamaria - 17 Luglio 2017 - 0:00
Antikult
Band: Fäulnis
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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80

Stridore di passioni, contemplazione di un cielo cosparso di nubi, il cui orizzonte nero viene spezzato dal suono di un’ eco lontana. Luce lunare irrompe, spiraglio che ci nutre, mostrandoci una via per risalire una vita di tribolazioni. Così, vi descriviamo l’ultimo disco in studio dei tedeschi Fäulnis

La band nasce nel 2003 e dopo una serie di ep, approda nel 2009 al primo album, “Gehirn zwischen Wahn und Sinn”. A seguire poi, nel 2014, “Snuff  Hiroshima”ed ora “Antikult”. Il sound degli interpreti è un black metal piuttosto sperimentale e dissonante, capace di sfiorare il concetto di core, soprattutto nell’approccio di alcune voci, dalle cadenze doom e dai lapilli post-rock

Full-length di difficile assimilazione, interpretazione poliedrica che diventa vero e proprio urlo di dolore, quasi trasportandoci in un girone infernale. A tutto questo poi si contrappone l’uso di armonie e divagazioni che mitigano il burbero gelo della nera fiamma. ‘Metropolis’ è il brano di apertura, un esempio di dinamicità e di influenze classiche del filone, con l’ausilio però di una chitarra che sfora ogni classificazione di genere. Situazione che si ripete poi anche in altri episodi. Sarà l’uso della lingua teutonica, o determinate strutture, c’è un non so che di “marziale”, ‘Block 19, Mahlstrom’ è ulteriore conferma di un generale odore di “guerra” in Antikult. Se volessimo trovare un parallelismo, ci verrebbero in mente i Bethlehem, per capacità di azzardare e per un’aurea militaresca nelle tracce. Album che avanza con fierezza, gelido ed allo stesso decisamente solerte nel cambiare via via ambientazioni con folle genialità. 

Antikult” è un ideale dialogo tra l’uomo ed il nefasto destino, così ci immaginiamo lo scorrere dei suoni, un’emotività che non vi lascerà indifferenti, un miscuglio di strumenti e citazioni che potranno essere appannaggio sia degli amanti della old school e sia di chi invece va alla ricerca di novità. ‘Im Auge des Sturms’ è uno dei pezzi più coinvolgenti, intensità che si traduce in un struggente intreccio di voci, un amore perduto che si slega definitivamente, dolore che ci si lascia alle spalle dopo un ultimo conato di odio.  Promuoviamo a pieni voti un progetto che non ha avuto la sufficiente considerazione, invitandovi in caso a scoprire.

Stefano “Thiess” Santamaria

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