Recensione: Antillius: The King Of Light

Di Marco Giono - 15 Novembre 2014 - 17:13
Antillius: The King Of Light
Band: Kaledon
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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60

Una luce intensa pervadeva ogni antro di Kaledon e la città placida viveva un periodo di splendore senza uguali. Gli abitanti lavoravano e prosperavano da pari. La pace finalmente colmava quel lembo di terra dopo anni di guerra e sangue. Il re Antillius era l’artefice del ritrovato splendore e i cittadini che lo avevano eletto, ora lo salutavano come eroe.  

La calma prima della tempesta, infatti, il re Carnago e le sue truppe senza anima invadevano Kaledon e imprigionavano il Re.

Da questa premessa prende avvio la saga intolata “La leggenda del Regno Dimenticato” che il gruppo romano Kaledon ha creato e raccontato attraverso sei album corrispondenti a loro volta ai sei capitoli della storia. A distanza di undici anni dall’esordio, dopo cambi di line up piuttosto importanti (sostituzione del cantante nel 2007),  il gruppo riparte da quella saga per raccontarla dal punto di vista di ognuno dei protagonisti che ne hanno animato le vicende. Dopo aver narrato lo scorso anno la vita di Altor,  il fabbro di Antillius, è tempo per i Kaledon di musicare le gesta del re “Antillius: the King of the Light” seguendo  le coordinate di un power metal sinfonico molto simile per forma e contenuti a quello dei Rhapsody of Fire, in cui si alternano assoli di chitarra a dialogare con le tastiere e riff distorti a introdurre o intermezzare pezzi di un lirismo quasi sempre drammatico.

In copertina, Felipe Machado disegna il re che innalza al cielo un manufatto (una lampada o un’ampolla?) di sembianze non troppo definite, a illuminare la città e i suoi sudditi  che, adunati al suo cospetto, lo riveriscono. La luce domina la scena, dal giallo dorato fino ai più lontani riflessi bianchi.  Un lavoro riuscito (pur evitando all’eventuale osservatore di incorrere nella sindrome di Stendhal) che ben ci introduce al concept in musica ideato e composto dal gruppo capitolino.

L’intro “In Aeternum”  tenta di squarciare il cielo immoto verso l’eternità con l’ausilio di cori suggestivi che si appoggiano su di un tappeto di orchestrazioni scandite dalla batteria di Manuele Santori.
In breve ci troviamo al cospetto di “The calm before the storm” nel suo incedere epico dettato da batteria, chitarra e tastiere per poi far spazio alla voce di Marco Palazzi che interpreta il presagio di sventura imminente con grande intensità. La prima traccia, pur non allontanandosi dal canone del genere, evidenzia una ricerca di personalizzazione di stile nelle melodie per creare qualcosa di più vicino all’enfasi con cui viene narrata la storia.  Fin dalla prima canzone, il gruppo dimostra di saperci fare con le trame musicali ed aver acquisito una notevole dimestichezza con gli strumenti.
Rumori di battaglia, acciaio di lame che risuonano, poi voci a evocare l’imminente misfatto, si dissolvono per lasciare il posto a tastiere, cori e riff per il secondo brano “Friends will be enemies” che si muove su coordinate simili a quelle del pezzo precedente, stabilendo un buon equilibrio tra racconto e musica.

In “Elisabeth” una ballad introdotta da arpeggio e assolo, la voce di Palazzi incontra quella di Angela di Vincenzo (in forza ai Secret Rule) che impreziosisce, con una prestazione notevole, le   melodie ben scritte dal gruppo.
Le canzoni (di cui ben tre bonus track per la versione digipack: “New Glory for the Kingdom”, “The Evil Conquest”, “The Glorious Blessing”) da qui in poi si muoveranno su sentieri piuttosto standard per il power a cui fanno riferimento i Kaledon, senza trovare però spunti particolarmente ispirati. Costituiscono un’eccezione due pezzi: il primo, “Light after Darkness” evidenzia una melodia ben riuscita che in parte rimanda agli Helloween, diversamente in “Angry Vengeance” si alternano il cantato standard inglese a un coro in lingua italiana. Qui sia la musica che la voce tornano a tessere trame sinfoniche e liriche piuttosto interessanti.

L’operazione imbastita dai Kaledon per “Antillius: the king of the Light” non è indubbiamente tra le più facili. Il gruppo romano non parte semplicemente dall’idea di mettere in musica un determinato tema, ma preferisce raccontare una storia dal punto di vista di uno dei personaggi, ponendo quindi dei vincoli che possono limitare l’atto creativo stesso.
Così alcune canzoni nei toni e nelle melodie risultano non particolarmente ispirate, impigliandosi in toni troppo enfatici e simili tra loro.  
L’ultima fatica dei Kaledon alterna quindi buone canzoni ad altre meno brillanti: il racconto della saga deve comunque proseguire perché coincide con la genesi stessa del gruppo. E in fondo consente ai loro fan di ritrovarsi nella musica e nei personaggi cui sono legati.

Se invece desiderate avvicinarvi per la prima volta ai Kaledon e alla loro ultima fatica “Antillius: the king of Light”, consigliamo un ascolto attraverso i canali ufficiali, per poter poi valutare in modo più approfondito e consapevole l’eventuale acquisto.

 

 

 

 

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