Recensione: Antiserum

Di Matteo Di Leo - 21 Febbraio 2014 - 1:52
Antiserum
Band: Crematory
Etichetta:
Genere:
Anno: 2014
Nazione:
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45

Diciamoci la verità, non è che questa “seconda vita” dei Crematory abbia dato chissà quali soddisfazioni. Con il ritorno di una decina di anni fa in piena moda reunion (dopo una un’inattività di una paio di annettetti quanto meno sospetta) i tedeschi sembrano volersi infilare a forza nella corrente industriale – elettronica. 
 
Se l’album “Revolution” aveva iniziato a tracciare questa nuova rotta, adesso con “Antiserum” si assiste ad una decisa presa di posizione, tanto da spingerli a collaborare con un personaggio abbastanza noto della scena EBM tedesca, ovvero Elmar Schmidt dei Centhron.
 
Visti i risultati, possiamo dire in maniera netta ed inequivocabile che questo stile non gli appartiene per niente.
Per carità, non è che prima di fermarsi avessero regalato capolavori da spellarsi le mani, ma erano comunque stati in grado di crearsi un dignitoso seguito tra gli appassionati di gothic; “Awake” e “Act 7” sono ancora dei buoni lavori, cosi come lo erano i primi vagiti più orientati verso il death.
 
Affannarsi ad inseguire i vari Rammstein, Deathstars e perché no, i The Kovenant dello stupendo “Animatronic” assume le proporzioni di uno scellerato autogol se il Padreterno non ti ha regalato lo stesso talento. L’esempio di come i Crematory e i succitati gruppi appartengano a due universi diversi ed inconciliabili assume dimensioni pachidermiche con “Antiserum”.
 
L’evoluzione (prendete questo sostantivo con tutte le pinze che avete a casa) elettronica di Felix e soci non arricchisce la musica in nessuna sua parte, non ha nulla di oscuro e affascinante ed anzi sembra uscita da una di quelle stramaledette compilation dance che ammorbavano le nostri giovani vite, ahimè ormai tanti anni fa.
 
Con un  harakiri da far impallidire il più spericolato dei giapponesi, i teutonici proposero come singolo di presentazione del disco una delle canzoni più tamarre della storia: “Shadowmaker”. Se non l’avete ascoltata, immaginatevi una traccia danzereccia, con la chitarra schiacciata da un’elettronica posticcia volta a coprire lacune compositive imbarazzanti, il tutto cantata in growl. Benissimo, ma siccome sbagliare è umano ed è invece perseverare ad esser diabolico, l’idea che questa volta i Crematory vogliano proprio sfidare il Maligno prende corpo con il secondo estratto dall’album, “Komnt Haer”. Anche qui, “truzzagine” come se piovesse, Till Lindermann e geniale combriccola scimmiottati senza ritegno per una canzone sconcertante.
 
E gli altri brani non si discostano tanto da questa linea. “Virus”, “Back from the dead”, “Welcome” tutti pezzi dove le chitarre si sentono solo nei ritornelli, la batteria sembra volerci invitare a scendere in pista, Felix espressivo come una parete appena imbiancata, il tutto subissato da tastiere/sintetizzatori capaci di ammantare tutto di un’aura posticcia e irritante.
 
Qualche cosa buona la ascoltiamo nei ritornelli di “Until the end” e “Inside your eyes” grazie alla voce pulita del chitarrista Matthias Hechler, che ci ricordano come un tempo i Crematory riuscivano a tirare fuori idee valide (vedi la splendida “Memory” da “Act 7”). Per il resto, nulla totale. Statene alla larga. 

Matteo Di Leo.

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