Recensione: Apocalypse [Requiem]

Di Daniele D'Adamo - 14 Maggio 2017 - 11:02
Apocalypse [Requiem]
Band: Akroma
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Quatto uscite discografiche, quattro full-length. Un buon biglietto da visita, per i blackster francesi Akroma. Del resto, il fatto che il black metal abbia trovato nel Paese transalpino un’altra culla ideale cui custodire i propri pargoli, non è certo un mistero, nel 2017.

Al contrario di altre realtà connazionali più sperimentali, “Apocalypse [Requiem]”, l’ultimo nato, evidenzia sin da subito, invece, al primo ascolto, la sua natura classica, ancorata specificamente al symphonic death metal. Come classico è, appunto l’accostamento dello screaming scarificatore di Alain “Bob” Germonville all’angelica voce di Laura Kimpe, addetta – se così si può dire – all’interpretazione delle strofe in latino. Accostamento non originalissimo ma che sortisce sempre e comunque un buon effetto complessivo dal flavour barocco.

Le orchestrazioni sono pesanti, nel disco, ma non invadenti: gli Akroma sono una band dotata di un’esperienza ormai quindicennale per cui non ci sono né dubbi né incertezze di sorta, in “Apocalypse [Requiem]”, opera adulta e matura a tutti gli effetti. Matthieu Morand è il mastermind che, con un lavoro assai completo e profondo sia rhythm-guitar sia di synth, riesce a materializzare una base musicale assai estesa e massiccia, sulla quale, poi, le linee vocali possono svolgersi con fluidità e continuità qualitativa superiore – potrebbe sembrare strano ma il timbro dello screaming (ma anche il growling, anche se rarefatto) è unico, quando lo screaming medesimo tende a uniformare le prestazioni. I ritmi sono sostenuti, vari, cangianti, che coprono lo scibile batteristico dai low-tempo ai quattro quarti accelerati, alla doppia cassa sino ad arrivare ai blast-beats. Ecco pertanto che gli Akroma danno prova di essere stati capaci di creare un sound tutto proprio, uguale ma diverso rispetto ai dettami universalmente noti in materia di symphonic death metal.

Per quanto concerne il livello del songwriting, il piano è leggermente inferiore rispetto a quello del suono. Senza dubbio la sufficienza è piena, tuttavia, anche dopo reiterati ascolti, “Apocalypse [Requiem]” lascia un pizzico di amaro in bocca perché è abbastanza chiaro che il quintetto di Nancy ha in sé tutte le potenzialità per dar luogo non a un lavoro più che discreto ma ottimo. Questo è palese nel migliore brano del lotto, “In Paradisum”, che, in qualità di closing-track, chiude – appunto – l’opera. Splendida suite che raccoglie in maggior quantità il talento, indubbio, dei cugini d’oltralpe. Sì, perché compare in maniera clamorosa la melodia, invero non così presente lungo tutto l’arco di durata del platter. Il tono si fa cupo, l’armonia della voce della Kimpe raggiunge il suo apice, growling e streaming si susseguono nel bel mezzo di splendidi cori. Scintille di note baluginano nella notte stellare. Brano-capolavoro che mostra come, nelle corde, gli Akroma abbiano tutto il necessario per riuscire a elevare tutta la composizione ai livelli del pezzo in esame.

Infine, l’impegno. Massimo. Grande professionalità. Estrema competenza tecnico/artistico. Qualità di cui non si può non tenerne conto. Gli Akroma possono fare di più. Sicuramente. Hanno in sé tutto il necessario per riuscirci. Devono solo tirarlo fuori.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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