Recensione: Archaic Visions of the Underworld [LP]

Di Daniele D'Adamo - 28 Novembre 2016 - 20:38
Archaic Visions of the Underworld [LP]
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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74

Il Centro / Sud America è sempre stato, sempre è e, probabilmente, sempre sarà, una fucina inesauribile di band dedite al più bieco metal estremo. Rigorosamente antireligioso per evidenti ragioni storiche che rimandano alle dominazioni spagnole, di matrice cristiana. Rigorosamente arcaico nella concezione musicale, mirata a non uscire dal più profondo underground, rifuggendo le luci della ribalta come la peste bubbonica. Tanto, alla fine dei conti, con i mezzi di comunicazione attuali, per chi ama il genere non è difficile scovare anche le talpe più ben nascoste.

Come i paraguaiani Master Of Cruelty, nati nel 2009 ad Asuncion, e autori di una buona produzione discografica, la cui elencazione ha lo scopo di rendere conto delle tematiche affrontate dal quartetto latino-americano: un demo (“Impale Thy Crux”, 2010), due EP (“Occult Loud Blast”, 2010; “Depths of a Cold Abyss”, 2012), tre split (“Necro Blasphemy III”, 2010; “Nocturnal Evil / Master of Cruelty”, 2015; “Sepulchral Voices”, 2015) e, finalmente, due full-length. Il debut-album “Spit on the Holy Grail” (2012), e il neonato “Archaic Visions of the Underworld”, uscito esclusivamente su vinile da 12″ con la label svedese Blood Harvest Records, in tiratura limitata a 300 copie soltanto. Poi, si vedrà.

Ed è proprio lì sotto, a metri di profondità dal suolo, dai nostri piedi, che le formazioni come Master Of Cruelty covano rabbia e livore che si tramutano in misantropia. In rifiuto. Rifiuto di allinearsi alle normali regole della massa, all’ordine precostituito non si sa da chi, giacché ogni etnia propone una soluzione propria, diversa da quella delle altre. Il caos. Insomma. Un caos che “Archaic Visions of the Underworld” fa suo, e lo assume come leit-motiv per song rozze, primordiali, grezze. Brutali, violente, ferali. Non per questo, prive del preistorico fascino dell’immediatezza, della sapiente capacità di trasmettere solo con la musica e i testi, senza alcun filtro, alcuna distorsione, la propria contrarietà a tutto.

I Master Of Cruelty, per raggiungere i propri obiettivi, usano nell’ordine death, thrash e black metal, in una fusione perfetta che elegge il death stesso capofila di uno stile che non si pone nessun compromesso, che arriva alle orecchie di tutti esattamente com’è uscito dagli amplificatori analogici, valvolari. Circostanza magistralmente evidente sin già dall’inizio, con la title-track ‘Archaic Visions of the Underworld’ che, con il suo sound caldo, corposo, segue i continui cambi di tempo del drumming, sfociante in devastanti, terremotanti blast-beats dalla potenza bestialmente inusitata.

Rallentamenti, accelerazioni, break, trance da hyper-speed. A.G.V., coerente con la tradizione del continente sudamericano, imbraccia la chitarra mentre vomita i suoi improperi nel microfono. Dettando i tempi del turbinoso, annichilente, devastante attacco fonico del proprio ensemble. Regalando song ricchissime di riff putrefatti che volano alla velocità della luce (‘The Executioner’). Non dimenticando l’umore generale che, nonostante la morbidezza profonda di quel suono che solo il vinile sa regalare, è improntato sul freddo glaciale degli antri sotterranei ove si compiono spaventosi, empi rituali, inenarrabili.

‘Archaic Visions of the Underworld’, è il tuffo nell’oltretomba cui ogni vero appassionato di death metal si deve cimentare. Il resto, è aria fritta.

Onore ai Master Of Cruelty e alla loro fedeltà alla causa.

Daniele D’Adamo

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