Recensione: Aren’t you Dead Yet?

Di Giorgio Vicentini - 13 Ottobre 2004 - 0:00
Aren’t you Dead Yet?
Band: Carnal Forge
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
63

Ebbene sì, come per ogni anno che si rispetti, non può mancare l’uscita di un album degli svedesi Carnal Forge, alfieri del filone thrash death di matrice moderna. Volendo rispettare a tutti i costi l’impegno non scritto nel regalarci almeno un loro lavoro ad annata, ci rassicurano dando vita ad Aren’t you Dead Yet?, dal titolo comicamente discutibile in fatto di originalità; probabilmente scelto ad arte per stimolare osservazioni banali come la mia o per dare un qualsivoglia senso di continuità alla loro produzione artistica. Voluto o meno, a mio modo di vedere il giochino sulla similarità dei titoli alla fine si ritorce contro la band perché, ascoltando la musica, la sensazione di dejavu è istantanea: thrash death come prima, più di prima, con qualche aggiornamento.

Con questi presupposti, può capitare di avere tra le mani un platter come questo, confezionato con una cura pregevole, ricco di contenuti grafici moderni ed appaganti, con immagini malevoli e brutali come piace ad una frangia del popolo metal; studiato su una solida base tenuta in piedi da musicisti capaci. Dieci tracce dalle ritmiche sostenute, rabbiose, stoppate ed aggressive, pompate da una produzione inattaccabile per potenza, chiarezza ed efficacia. C’è indubbiamente la possibilità di esaltarsi sulla compatezza granitica di “Inhuman”, track che picchia davvero duro, oppure caricarsi di energia sulle note velocissime e bellicose di “Exploding Veins“, o sul ritornello adrenalinico di “Burn Them Alive”. Ritmiche serrate, che non danno mai fiato, ma che scorrono via facili ed implacabili, stendendosi su una durata intelligentemente ridotta ai 36 minuti circa. Ma quante volte è già capitato di reagire così ascoltando un loro disco?

Purtroppo, perfino io che non sono mai stato così maliziosamente attento ad ipotetici retroscena, mi sto accorgendo che viviamo in un mercato dell’estremo che man mano ha scoperto la manna della commerciabilità, che sta pian piano prendendo spazio e porta alla moltiplicazione esponenziale dei prodotti “da copertina”, qualitativamente medio/alti dal punto di vista del contenitore, ma un po’ più discutibili sotto l’aspetto dei contenuti. Perché ho battuto sul tasto della iperproduttività della band? Perché le mie osservazioni personali potrebbero essere le stesse fatte da qualsiasi fruitore costante di metal estremo; perché conosco la band ed i suoi lavori dai tempi di Firedemon; perché credo sia legittimo sospettare della bontà del binomio prolifico = efficace se si parla di una band come i Carnal Forge, validissimi interpreti di settore, che però non hanno mai dimostrato di essere dei genialoidi tali da giustificare un bisogno così impellente di dar sfogo alla loro ipotetica ed irrefrenabile vena creativa. Credo che la band abbia intrapreso una strada di solida e coerente militanza imboccata ai tempi di Please…Die!, perseguita con caparbietà e decisione, ma che alla lunga non fa altro che portare la band a “suonarsi addosso” i soliti accordi, le solite ritmiche, la solita impostazione vocale e via discorrendo, aggiungendo soltanto qualche mini tassello alla propria evoluzione; come si trattasse della nuova edizione di una testo scolastico, che cambia impaginazione e copertina ad ogni anno accademico, ma i cui contenuti sono quasi li stessi. Se progredire di album in album è aumentare il volume dell’audio ed aggiungere qualche stop in più, beh a me non basta e qualche domanda in più me la pongo.


Aren’t You Dead Yeat non è un album inutile, è molto più onesto di certi esempi provenienti dalla stessa nazione e sui quali ho fortissimi dubbi in fatto di sincerità, ma lo sento come il tipico disco mordi e fuggi da ascoltare durante l’attesa di trovare qualcosa di meglio, che non richiede all’ascoltatore di pensare mentre il disco corre, solo di stare seduto e di premere di nuovo play una volta terminato.

Se vi dovesse capitare di ascoltarli non sarà una disavventura, di carne al fuoco ce n’è e non si tratta di un disco totalmente privo di mordente vista la rabbia messa in campo, ma è consigliato solo a coloro i quali non li hanno mai ascoltati prima e che cercano potenza e carica dal retrogusto patinato; per gli altri penso possa bastare uno dei due predecessori, a meno che non si voglia avere la collezione completa di casa Carnal Forge.

Tracklist:
01. Decades Of Despair
02. My Suicide
03. Burn Them Alive
04. Waiting For Sundown
05. Exploding Veins
06. Sacred Flame
07. Inhuman
08. The Final Hour
09. Totally Worthless
10. The Strength Of Misery

Ultimi album di Carnal Forge