Recensione: As Embers Turn to Dust

Di Daniele D'Adamo - 6 Gennaio 2017 - 17:12
As Embers Turn to Dust
Band: Mechina
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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82

etereo /e’tɛreo/ (ant. eterio) agg. [dal lat. aethereus, var. di aetherius, gr. aithérios]. – 1. (filos.) [dell’etere: sostanza e.] ≈ aereo. ↔ terrestre. 2. a. (poet.) [del cielo: l’e. padiglion (U. Foscolo)] ≈ celeste. ↔ terreno. b. (estens.) [di consistenza e aspetto dell’etere: una creatura e.] ≈ diafano, evanescente, immateriale, impalpabile, incorporeo, spirituale. ↔ corporeo, materiale.
[www.treccani.it]

Al settimo full-length in carriera, “As Embers Turn to Dust”, i cyber deathster statunitensi Mechina decidono che è giunto il momento della riflessione, dell’introspezione, dell’approfondimento emotivo. Di diventare, parafrasando il titolo dell’album, come polvere nella polvere. Il ciclo si è chiuso. Nascita, vita, morte. Poi, distruzione, rappresentata con efficacia dallo stupendo disegno di copertina.

E il post mortem? Forse è proprio qui, nascosto fra le pieghe di un disco ciclopico, gigantesco, stellare; ampio come i maestosi paesaggi alieni che la band di Batavia ha sempre disegnato per raffigurare con l’arte pittorica l’invisibilità di quella musicale.

L’incipit ambient di ‘Godspeed, Vanguards’, con i suoi odori di morte, è già rappresentativo dello scenario pre-apocalittico dipinto dai Nostri, con il ritmo che sale progressivamente sino a entrare in blast-beats. Sfuriate cosmiche, esplosioni di supernovæ, devastanti tempeste neutriniche. È questo, il magnifico sound creato dal mastermind Joe Tiberi che, coadiuvato dalle voci di Mel Rose e David Holch, è, i Mechina. Un sound che fa sue, con naturalezza e semplicità, ariose, imponenti, fantascientifiche orchestrazioni. Che si sovrappongono, si rincorrono, si abbracciano alla sagoma dura, cioè al muro di suono innalzato dalla strumentazione elettrica e dal drumming. Purtroppo, troppo meccanico. Sebbene esso sia coerente con la progettazione di fondo, che esige l’automatismo ritmico, il groove umano è un fattore che assumerebbe un grande valore, nell’economia dello stile del terzetto nordamericano.

Successivamente all’immenso cozzo provocato dalla forza dirompente dell’opener-track, ‘Creation Level Event’ mostra già, seppure inserite in un bombardamento sonoro a tappeto, le prime avvisaglie del viaggio verso l’ignoto, le prime schiarite di un cielo plumbeo e rossastro, i primi segmenti composti dal suono del pianoforte e del violino soltanto.

Incommensurabili le orchestrazioni, sempre.

Le quali prendono la mano del disco e lo portano con sé nel mondo dei sogni, oltre il cielo stellato, viaggiando all’interno dei buchi neri per riemergere, là, oltre la sottile linea della vita (‘Impact Proxy’). Le rabbiose intonazioni del growling di Holch e il dorato gorgheggio della Rose operano una sinergia sensazionale, come una fusione nucleare in cui gli atomi si incastrano, si penetrano, si diluiscono in altre particelle. Sino ad arrivare alle più alte vette di musicalità, scalate dalle clean vocals dello stesso Holch, bravissimo anche in siffatta foggia canora.

E, com’era intuibile dalle premesse, “As Embers Turn to Dust” s’incanala nel mare della tranquillità, momentanea, di ‘Aetherion Rain’, delicatissima song strumentale al pianoforte. Echi di mondi lontani, tuttavia, la ammantano come un’aurea, lasciando forte quel flavour di science fiction che permea l’intero lavoro. Poi, ‘The Synesthesia Signal’ riporta la coscienza sul piano della realtà, con la sua massiccia, rocciosa solennità. Mid-tempo. Per consentire al cyber death metal di mostrare, anche, il suo lato più diretto e immediato.

“As Embers Turn to Dust” è come una sorta di caleidoscopica ruota, in cui sono incasellati i singoli brani, che iterano un’alternanza sublime fra la devastazione dei blast-beats e le delicate ali di farfalla, mosse delle solenni female vocals.

Forse i Mechina danno il meglio di sé quando oltrepassano la sfera del suono (‘Godspeed, Vanguards’), quando – cioè – si scatenano visioni multicolori, sfumate dalla trance da hyper-speed. Ma, a essere onesti sino in fondo, anche quando c’è calma assoluta (‘As Embers Turn to Dust’), o la possanza dei tempi medi (‘The Tellurian Pathos’) “As Embers Turn to Dust” non mostra mai la corda.

Daniele D’Adamo

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