Recensione: Ash [Reissue]

Di Stefano Ricetti - 14 Dicembre 2015 - 14:41
Ash [Reissue]
Band: Paul Chain
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2015
Nazione:
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78

Certamente per questa recensione riceverò maledizioni a decine e lettere minatorie a tonnellate ma a me questo nuovo lavoro del signor Paul Chain non dice proprio niente! Tutto ottimamente confezionato, un bell’adesivo all’interno, il disco in vinile viola ma la musica mostra limiti che mi infastidiscono un tantino… Sapevo già del cambio di direzione intrapreso dal nostro verso sonorità più veloci e thrashy, ma sono dell’idea che non tutto sia concesso a tutti e che il buon Paul abbia peccato un tantino di presunzione ritenendosi in grado di fare del buon thrash.

I due episodi tirati del mini LP “Ash” sono infatti discutibili e ridimensionabili da chiunque segua il genere da più di un paio d’anni: “Eternal Flames” somiglia spudoratamente alla song dei Flotsam & Jetsam “Hammerhead”, dalla quale sembra aver clonato il riff portante… “Electroshock” invece è un’orribile accozzaglia di cacofonie sparate a 100 all’ora con la pretesa, che ne so, di essere Death Metal… bah! Manco i Bathory!!!

Per il resto siamo nella regola con tempi medi o rallentati che toccano il loro apice in “I Remember a Black Mass”, brano di chiusura, tra l’altro non proprio recentissimo e ripescato dal vecchio repertorio del Violet Theatre. Ottima in questo caso la prestazione vocale del singer. “Abyss” è un lungo interludio organistico dal grande magnetismo ma forse un tantino  prolisso, adatto ad una colonna sonora di films tipo “In Nome della Rosa” o giù di lì… “Image Down” è un Heavy sulfureo e pesante, abbastanza dinamico che si snoda su una ritmica rocciosa e su un rifferama sorretto efficacemente da infusioni di tastiere. Quando il carismatico personaggio che è Chain matura frutti veritieri e non tendenzialmente accodati ad un trend fin troppo in voga, il risultato può essere ottimo, altrimenti è meglio rivolgersi altrove…

Quanto avete letto sinora appartiene alla recensione stilata da Vincenzo “Jamaica” Barone all’interno della rivista H/M numero 52 uscita nel 1988.

Da qualche settimana è disponibile, nella consueta e sontuosa confezione simil-Lp in miniatura a doppia anta cartonata della Minotauro Records, la versione di Ash di Paul Chain in Cd, con l’aggiunta di due bonus track rispetto all’Ep originale risalente  a ventisette anni fa. Tracce che non trovarono collocazione nel vinile dalla copertina fiammeggiante ma comparirono in altre differenti release su compilation. Ad accompagnare l’uscita un interessante libretto di dodici pagine comprendente la storia del disco, infarcita da aneddoti vari, allestita da uno dei maggiori conoscitori dell’artista pesarese: Fulvio Zagato (qui la sua intervista del 1° ottobre 2015), curatore del fan club ufficiale di Paul Chain. Il booklet comprende anche delle splendide foto dello stesso Catena, Laura Christ e Lü Spitfire.  

Musicalmente Ash ricomprende le tracce più veloci e fottutamente heavy metal che abbia scritto Paul Chain in carriera che oggi, a distanza di più cinque lustri, assumono un valore storico affettivo che non era possibile attribuire al momento dell’uscita del vinile. Dal 1988 a oggi tonnellate di dischi-fotocopia hanno invaso il mercato, quintalate di band-fotocopia si sono appropriate – a torto o a ragione – di uno spicchio di popolarità e da un bel po’ di tempo a questa parte assistiamo al riciclo-del-riciclo-del riciclo, che spesso fa la differenza rispetto a un omologo per la cura e il budget riversato nella produzione.

A fine anni Ottanta, solamente restando entro i confini patri, il panorama era ben differente: uscivano ancora fior di dischi e la concorrenza era, obiettivamente, elevata. Solo per citarne uno e non a caso, In Death of Steve Sylvester dei Death SS uscì proprio in quell’anno, così come Neurodeliri dei Bulldozer, Back from the Ruins dei Vanexa, i Fingernails con l’omonimo debutto,  Dark Quarterer con The Etruscan Prophecy, Adramelch con Irae Melanox e i Fil di Ferro con “Fil di Ferro”, per riportare i più autorevoli.  

Questo è uno dei motivi che tende a rivalutare Ash di Paul Chain, lavoro che, anche per i concetti elencati sopra, non godette della meritata visibilità, oscurato da altri, contemporanei, campioni dell’Italian Way of HM.

Va considerato che, poi, avere in formazione due maestri del rumore quali Maury Lyon dei Gunfire al basso e un bombardiere come Lü Spifire (raggiungerà Steve Sylvester in Free Man, nel ’93) alla batteria garantiva di per sé una dose di tonnellaggio HM d’eccezione. Bene ha fatto quindi Paolo Catena a pestare di brutto sin dall’opener Eternal Flame, così come sull’altra mazzata speed Electroshock. Sentire poi uno come Chain “tirare” così alla voce è autentica goduria siderurgica… 

Ash, a livello di impianto heavy metal, è altresì la realizzazione griffata P.C. che più si avvicina ai colleghi Death SS nella loro accezione più tradizionalmente HM caliginosa, ossia quelli di In Death of e Black Mass. Comunque niente paura: il Paul Chain malato lo si può assaporare all’interno di Image Down, il tocco horror gotico impregna i quasi sei minuti di Abyss così come la sabbathiana In Remember a Black Mass riporta al Catena della dimensione “classica”.

Come competentemente scritto da Fulvio Zagato,  la prima bonus track, Moment of Rage, fu a suo tempo scartata nei confronti di Ash ’88 per comparire in questa edizione Minotauro ad accrescere ancor di più la carica speed del disco, risolvendosi in un ulteriore episodio veloce a dar man forte alla “veterane” Eternal Flame ed Electroshock. Undead, il secondo e ultimo bonus che chiude il disco, ancora con il piede premuto sull’acceleratore alla Motorhead-maniera, conferma il trend chainiano prevalente in quel periodo all’interno degli studi “della villa che si trova in una trasversale di una delle vie più trafficate di Pesaro“, citando un’esperssione di Titti Angeramo (Qui la sua intervista contestuale).  

Con la consapevolezza che i capolavori di Paul albergano in altri solchi, Ash costituisce comunque uno spaccato imprescindibile all’interno della carriera di Chain, proprio perché rappresentativo del suo momento in your fuckin’ face.  

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

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