Recensione: Ashes

Di Giorgio Vicentini - 7 Febbraio 2005 - 0:00
Ashes
Band: Tristania
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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78

Dio benedica l’idea di Morten Veland d’abbandonare i Tristania per formare i Sirenia nel 2000; detto fuori dai denti non ho mai sopportato lo stile di Beyond the veil che tanti successi e consensi raccolse a suo tempo. Ora mi compiaccio nel sentire il ritorno dei norvegesi a quattro anni da World of glass, carichi di presupposti più maturi e consoni al panorama settoriale odierno e ad una band di rango.
Molti saranno stati colti da malore nel sentire il precedente disco e credo che i defender della vecchia linea potranno avere le convulsioni nell’ascoltare cosa siano gli attuali Tristania, ma ciò è più che comprensibile. Continua quindi l’evoluzione stilistica della band che abbandona le soluzioni pompose e sinfoniche d’un tempo per scegliere una via più cauta, introspettiva e raffinata, tipica di molti altri ensemble che danno una sterzata alla propria carriera.

Stilisticamente, Ashes ha una chiara prerogativa goth rock/metal che per gioco potrebbe essere spezzata idealmente a metà: da un lato una versione più dura e metallica delle tracce “dispari”, dall’altro la fazione dei brani “pari” più coinvolgenti emotivamente e meno irruenti. La prima legata ad un filone lievemente più canonico  ma sorretto da buone atmosfere, fatto di note stoppate e scream simil black che si fondono piacevolmente alle voci pulite, l’altra debitrice allo stile conclamato di band quali The Gathering, Theatre of tragedy (fino all’incarnazione Aegis) ed Anathema (molto marginalmente). Forme più posate, prediligendo l’approccio morbido e sinuoso di composizioni dal piglio quasi unplugged in taluni frangenti.

Il disco esordisce con un riuscito e trascinante sunto stilistico intitolato “Libre, carico dell’espressività del coro femminile quasi ecclesiastico, forte di un buon groove, di melodie gradevoli e tastiere sullo sfondo, si passa poi ad “Equilibrium“, la cui descrizione più efficace potrebbe essere l’immaginarsi Anneke van Giersbergen che balla il pezzo sul palco con le sue classiche movenze. Ritorna l’aggressività calcolata di “The wretched“, costruita su riffoni stoppati ed uno stimolante connubio di tutte gli stili vocali adottati nel platter, brano spezzato nel mezzo da un drammatico break di violoncello. La successiva è Cure, carica d’un sentore tipico da Velvet darkness they fear (Theatre of tragedy), un crescere musicalmente misurato sull’onda delle delicatissime vocals femminili a livelli d’espressività quasi angelici. La strada prosegue immersa nelle tastiere vagamente orrorifiche di Circus per poi approdare all’eccezionale “Shadowman” (semplicemente divina), traccia da brividi se ci si abbandona alla leggerezza dell’interpretazione di Vibeke Stene in un duetto magistrale col compagno maschile; un’altra progressione perentoria nella velata e raffinata tristezza. Chiude “Endogenisis“, miscela d’essenze, tra accordature pesanti e chitarre acustiche alternate in primo piano ed un incredibile spaccato paradisiaco, uno di quegli istanti nei quali si può restare soltanto interdetti da contata beltà stordente, con la pelle accapponata e gli occhi lucidi.

Efficace la calibratura nel terzetto vocale, i cui membri non sembrano contendersi lo scettro di prima voce, lasciando spesso uno spazio preponderante alla timbrica armoniosa di Vibeke chiaramente in stato di grazia, in perfetta simbiosi con il vocione caldo e profondo del compagno Østen Bergøy.

Disco estremamente godibile, ricco di profondità espressiva, a tratti rilassante ed abbondantemente bagnato da un gusto indiscutibile per l’atmosfera, che a mio avviso risente in parte della semplice normalità dei frangenti heavy, non particolarmente ricercati e strettamente finalizzati allo loro scopo.
Sulla scia di questo, avanzo un desiderio: mi piacerebbe sentire i Tristania abbandonare del tutto i retaggi metal più estremi sfruttandoli come vago contorno, citandoli semplicemente vista la netta superiorità del lato più lieve.

Finora li ho evitati volontariamente, ma è stata tale la sorpresa da costringermi a rivedere la mia personale valutazione sul loro conto. Quando a fine anno farete un bilancio personale dei migliori dischi del 2005, ricordatevi di Ashes.

Tracklist
01. Libre
02. Equilibrium
03. The Wretched
04. Cure
05. Circus
06. Shadowman
07. Endogenisis

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