Recensione: Astarte Syriaca

Di Riccardo Angelini - 12 Agosto 2005 - 0:00
Astarte Syriaca
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Anno: 2004
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70

Di recente la fucina di terra italica ha sfornato una ricca partita di band progressive di gran qualità, e le premesse per il futuro sembrano confermarsi sugli stessi livelli. A serrare le file delle embrionali promesse di futuri successi che navigano nel burrascoso oceano underground nostrano, ecco la vela dei romani Astarte Syriaca, capaci di distinguersi dalla massa per il buon bagaglio tecnico e per un  repertorio sicuramente degno di nota. Le quattro tracce che compongono questo omonimo demo presentano una varietà di suoni piuttosto ampia e ben calibrata che, nonostante qualche influenza illustre ancora piuttosto marcata, lascia ben sperare per una prossima evoluzione in chiave più personale.

E’ del resto innegabile che nella maggior parte delle tracce il riferimento principale siano e rimangano gli ormai onnipresenti Dream Theater – “quali?” sarà la domanda; “quelli di Awake e Metropolis pt. 2” è la risposta – soprattutto nell’impostazione di riff e delle melodie vocali: nei primi in particolare è evidente la formazione alla scuola di Petrucci. E non tragga in inganno l’incipit della traccia d’apertura, Northwind, con le sue tastiere maestose che potrebbero richiamare alla mente il prog-power sinfonico dei Symphony X, perché la canzone finirà per percorrere binari ben diversi. E’ questa una prima vetrina che esibisce la notevole preparazione musicale del combo capitolino, affiancata da alcune idee piuttosto interessanti frammiste a passaggi più familiari. Ma è proprio quando la band esce dagli schemi e prova a proporre qualcosa di maggiormente personale, talvolta anche sbagliando, che riesce a ottenere i risultati migliori. Emblematica in questo senso la terza traccia, Earth Spirit, con i suoi dieci minuti tondi di durata. Troppi forse, e difatti di tanto in tanto il songwriting si dilata annacquandosi troppo cosicché anche l’attenzione scema, ma i numeri più validi del repertorio dei quattro romani emergono proprio qui: ritmiche sopra le righe abili a cogliere il momento buono per mutare faccia, chitarre dinamiche ed estrose, tastiere sornione che a lungo si dedicano all’accompagnamento per uscire repentine allo scoperto con qualche assolo di pregio. Il pezzo, nonostante la produzione non ottimale, dà prova di una maturità piuttosto definita e di una voglia di osare che lo distingue dai restanti brani, grazie all’alternarsi di passaggi quieti e posati con altri decisamente più roboanti ed elaborati, quelli in cui la band si esprime davvero al meglio. Infatti, nonostante il livello rimanga sopra la soglia della sufficienza, le rimanenti due tracce rischiano sovente di ricadere nel limbo di un romanticismo abusato e non sempre espressivo, che non riesce a riscaldare come dovrebbe, mentre neppure i riff riescono a incidere a fondo quando provano a indurirsi. Tra le due meglio comunque In Silence, meno forzata e più scorrevole.

Complessivamente il demo mette in evidenza diverse buone qualità nient’affatto comuni comuni: ritmiche e melodie efficaci, buone doti tecniche e potenzialità creative che, quando si rivelano, convincono. Qualche cliché di troppo rischia di tanto in tanto di avvelenare la completa riuscita dei brani, ma quando la band fa di testa propria dimostra di saperci fare davvero. La chiave di volta a mio parere sta proprio qui, e sei i nostri ragazzi sapranno liberarsi della zavorra di influenze ora non più necessarie che appesantisce il loro sound, non è lontano il momento in cui potranno spiccare il volo tra le affermate realtà del panorama nostrano.

Tracklist:
1. Northwind
2. In Silence
3. Earth Spirit
4. Winged Horses

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