Recensione: Asylon

Di Emanuele Calderone - 20 Febbraio 2011 - 0:00
Asylon
Band: Neuraxis
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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78

Sono passati tre anni da quando i Neuraxis, band canadese con più di cinque lustri di carriera sulle spalle, si sono affacciati per l’ultima volta sul mercato discografico, con “The Thin Line Between”, un lavoro ben riuscito, che aveva riconfermato il buono stato di salute dei ragazzi.

Eccoli tornare a calcare le scene in un 2011 già denso con il nuovissimo “Asylon”, un album che, possiamo dirlo senza alcuna remora, renderà felici tutti i fan di vecchia data del combo.
Se le ultime tre uscite si accostavano, infatti, più al filone melodico, l’ultimo parto dei quattro di Montreal segna, per certi versi, un riavvicinamento al technical death metal più impetuoso e crudo.
Questa attitudine emerge prepotentemente già dalla copertina, che raffigura l’inquietante immagine di un uomo rinchiuso all’interno di una stanza fredda e sporca, incatenato a una “macchina di tortura”, che sta lentamente mutando in un anfibio.

“Asylon” se confrontato, ad esempio, con “Trilateral Progression” piuttosto che con “Truth Beyond”, risulta più semplice, diretto e meno elaborato. La sei corde di Robin Milley, rimasto l’unico chitarrista in seguito alla dipartita di William Seghers, macina riff a non finire, non lasciando un momento di respiro. Il comparto ritmico, capitanato da Pinard e Beaudoin -subentrati a Mckinnon e Thiel- è preciso e puntuale, nonché dinamico e coinvolgente.
Pressoché perfetto anche il compito svolto da Alex Leblanc, anche in questo caso a suo agio sia nel growl – violento come non mai-, sia nei più rari, ma comunque perfettamente riusciti, scream.

Le canzoni appaiono strutturalmente alquanto lineari, a differenza di molto technical death metal: i brani non si perdono mai in sterili esercizi tecnici, o ancora in infinite cascate di note senza né capo né coda. I ragazzi optano per pezzi diretti, capaci di imprimersi da subito nei quali l’ottima tecnica viene messa al servizio della musica e non viceversa.
Tutto ciò si traduce in una tracklist estremamente piacevole e che scorre priva di intoppi, colpendo sia dal punto di vista della ricerca in chiave melodica, che da quello prettamente esecutivo.
Partendo dall’opener “Reptile”, passando per episodi quali “By the Flash” o “Sinister” (splendida nella sua cruda brutalità) sino ad arrivare a “Left to Devour” (dotata di un finale acustico particolarmente suggestiva ed affascinante), difficilmente si notano dei cali di tensione o attenzione.
Il songwriting è solido come sempre e i montrealesi non si lasciano scappare l’occasione di ribadirci che ormai la loro è una realtà fondamentale all’interno del panorama canadese.

Naturalmente il disco non è scevro da difetti, primo dai quali l’esigua durata: appena 39 minuti ci paiono francamente troppo pochi, specie dopo una pausa di ben 3 anni. Alcuni potrebbero obiettare che un minutaggio ridotto sia da preferirsi a tracce poco attraenti, ma rimane il fatto che si poteva offrire qualcosa in più.
C’è inoltre da segnalare, per onestà nei confronti dei lettori, che il platter alla fine dei conti, pur nella sua innegabile bontà, non inventa nulla di nuovo ed è proprio questo che non gli permette di elevarsi allo status di capolavoro.

Nulla da eccepire per tutto ciò che riguarda la registrazione: Chris Donaldson (già produttore di Cryptopsy, Beneath the Massacre e The Agonist) riesce, grazie alla sua esperienza, a conferire al full-length suoni appropriati, che riescono a mettere in luce fatto  dal quartetto.

Come si diceva prima non siamo al cospetto di un lavoro che cambierà le sorti del genere, ma che si lascia ascoltare con gran piacere senza mai annoiare. Probabilmente chi si aspettava un proseguimento sul percorso tracciato con i tre precedenti album rimarrà, le prime volte, un poco deluso, ma tale senso di scontentezza tenderà a dissolversi con l’aumento degli ascolti. Per i vecchi fan questo sarà invece un colpo azzeccato, visto il ritorno a sonorità più brutali e meno melodiche.
Questo è quanto, se volete un’opera in grado di appassionare e catturare la vostra attenzione e se siete amanti del death suonato in maniera certosina, ma che rimanga comunque violento e cattivo, questo è il prodotto che fa per voi. A tutti gli altri, un ascolto è, allo stesso modo, caldamente consigliato, vi si potrebbero aprire nuove porte.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Reptile
02- Asylum
03- Savior and Destroyer
04- By the Flash
05- Sinister
06- Trauma
07- Resilience
08- Purity
09- V
10- Left to Devour
 

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