Recensione: Atacames

Di Stefano Burini - 23 Maggio 2014 - 0:01
Atacames
Band: ¡Pendejo!
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2014
Nazione:
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75

«Ma com’è possibile che nessuno ci avesse mai pensato prima?»
 
Di gruppi stoner ne è pieno il mondo, ma la pensata dei ¡Pendejo! è di quelle talmente lineari e “naturali” da risultare quasi geniali nella loro assurda ovvietà. Di che si tratta? Sostanzialmente di valicare il confine, trasportando il tipico sound del Desert Rock made in California qualche centinaio di miglia più a sud, fino alle brulle lande del torrido Messico. 
 
Il mix di ingredienti alla base della proposta degli olandesi (si, avete letto bene, NdJ) è esattamente quello che ci si aspetta e, a dispetto della bandiera che vedete in alto, va detto che i cugini d’Orange El Pastuso e Jaap “Monchito” Melman padroneggiano piuttosto bene la materia, mettendo ben in evidenza i loro legami di sangue con l’America centro-meridionale. Il cantato grezzo e sporco del Pastuso richiama alla mente fin dal primo ascolto una versione più alcoolica e ignorante dei mitici Baron Rojo e pure le frequenti incursioni di tromba (sempre ad opera del Pastuso) contribuiscono a conferire un marcato retrogusto latino a sonorità altrimenti fin troppo classicamente stoner. Un vero tripudio di colori e sapori in grado di teletrasportarci in un batter di ciglia dall’assolata Sky Valley Kyuss-iana in uno di quegli scenari tipici dei film di Robert Rodriguez, tra tacos, sombreri, strade polverose e pistoleri dal grilletto facile. Dal punto di vista strumentale, tromba a parte, ci troviamo viceversa di fronte ad un lavoro dal taglio tipicamente stoner di scuola Kyuss, in cui le distorsioni valvolose e l’andamento sapientemente scazzato dei riffoni del Monchito si adattano alla perfezione allo spirito e all’atmosfera delle composizioni. 
 
Dieci canzoni in totale, a primo ascolto piuttosto uniformi tra loro eppure notevolmente infarcite di piccole finezze in grado di dar loro anima (oltre che di rendere l’ascolto estremamente piacevole e divertente). Dalla  briosa “El Verano del 96” alla tostissima “Amor Y Pereza” (doppietta iniziale di grandissimo impatto) fino alle più lunghe e articolate “El Jardinero” e “La Chica Del Super No Se Puede Callar” la ricetta non cambia poi più di tanto ma l’ispirazione regge piuttosto bene, lasciando impressioni molto favorevoli anche dopo svariati ascolti. Non appaiono, inoltre, da meno brani come la veloce “Uñero” e la più doomy “Amiyano” o, di nuovo, come la divertentissima “¡Dos!” (grande riff), la più particolare “Camaròn” o la spettacolare “Cuarenta Y Siete”, caratterizzata dall’amplissimo spazio lasciato alla tromba: ulteriori conferme in relazione alla buona riuscita globale dell’album.
 
Non sconvolgeranno il mondo della musica, gli olandesi ¡Pendejo!; tuttavia, se avete bisogno di una quarantina di minuti di sano e robusto divertimento, “Atacames” potrebbe fare al caso vostro.

Stefano Burini

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